Discriminazione sessuale


Sospesa la patente perchè gay: la Cassazione impone il risarcimento
Discriminazione sessuale
Con Sentenza del 22.01.2015, n° 1126, la Suprema Corte di Cassazione accoglie pienamente il Ricorso presentato da un giovane ventenne che, a causa del proprio orientamento sessuale, si vedeva sospesa la patente di guida.

La vicenda traeva origine dalla dichiarazione resa dallo stesso ricorrente nel corso della rituale visita di leva, sostenuta presso l'ospedale militare nel 2001.

Di lì a poco, il giovane venne inspiegabilmente sospeso dal servizio e, come se non bastasse, gli venne notificato un provvedimento della Motorizzazione Civile con cui si disponeva la revisione della patente di guida e la conseguente predisposizione di un nuovo esame di idoneità psico-fisica.

Pare infatti che, a seguito delle dichiarazioni del giovane, l'ospedale militare avesse evidenziato la mancanza dei requisiti psico­fisici legalmente richiesti per la guida degli automezzi (sic!).

Il giovane convenne in giudizio il Ministero della Difesa e quello delle Infrastrutture e dei Trasporti ottenendo in primo grado un risarcimento economico per violazione della privacy e discriminazione sessuale, importo poi notevolmente ridimensionato in Appello perché afferente ad un "danno limitato" (patente non revocata, ma solo sospesa) e ad una presunta "circoscritta violazione della privacy" (l’identità sessuale era stata rilevata di fatto "solo" a soggetti appartenenti alla Pubblica Autorità).

La Corte di Cassazione accoglie pienamente il ricorso e, con la sentenza in commento, richiama fermamente l’inviolabilità dei principi sanciti dall’art. 2 della Costituzione "quali essenziale forma di realizzazione della propria personalità (Cass. 16417/2007)" ribadendo che "Né va dimenticato che il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell'inclinazione e della comunicazione (cd. coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno unito del 1981".

Inoltre, nonostante il tentativo del Giudice d’Appello di attenuare la gravità del fatto riconducendola ad aspetti soltanto endo-amministrativi, "non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia".

Infine, quanto alla presunta "circoscrivibilità" del danno dovuta alla sola conoscenza dei soggetti pubblici che si erano occupati del caso, "la stessa instaurazione di un procedimento civile e la conseguente conoscenza e conoscibilità pubblica della vicenda smentisce in radice tale assunto".

Pertanto, cassata la sentenza impugnata, la Suprema Corte rinvia - anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione - a diversa Corte di appello.

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di Avv. Alessandra Farci

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