Discriminazioni verso i lavoratori disabili
Come i lavoratori disabili si devono difendere in presenza di trattamenti discriminatori sul posto di lavoro (Tutela legale)
La Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità richiama più volte il concetto di discriminazione. Nell’articolo 27, in particolare, viene sancito il divieto di «discriminare sulla base della disabilità con riguardo a tutte le questioni concernenti ogni forma di occupazione, incluse le condizioni di selezione, assunzione e impiego, mantenimento dell’impiego, avanzamento di carriera e le condizioni lavorative sicure e salubri».
Per quanto attiene la casistica, la discriminazione nel mondo del lavoro può assumere le forme più svariate. Si pensi soltanto allo svolgimento dei concorsi pubblici ove le modalità concorsuali e di svolgimento delle prove risultano essere totalmente inadeguate per le persone con una disabilità di tipo intellettivo.
In questo caso la discriminazione, addirittura, è doppia. Sussiste inizialmente l'illusione che la discriminazione non esista in quanto il concorso è accessibile a TUTTI ma, è sufficiente la mera partecipazione da parte di un soggetto disabile per rendersi conto che quell'accessibilità era solo di mera facciata, in quanto poi, materialmente, il concorso è strutturato in modo tale da non essergli accessibile, proprio per le sue caratteristiche strutturali e funzionali.
Ma gli i più numerosi e subdoli episodi di discriminazione sono quelli che si manifestano durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, il cui esempio più clamoroso è senz'altro rappresentato dal MOBBING, ossia quella "violenza psicologica nell'ambito del rapporto di lavoro caratterizzata da reiterazione e da intento persecutorio, esercitata dal datore di lavoro direttamente, o indirettamente per il tramite di persone terze anche non dipendenti".
Trattasi, in concreto, di comportamenti di condizionamento negativo attuati nei confronti di lavoratori per il solo fatto che sono persone con disabilità.
LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
In materia di discriminazione è fondamentale il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n.216, il quale sancisce il divieto di discriminare sia nel settore pubblico sia in quello privato.
Nell’articolo 2 del Decreto è prevista una nozione di discriminazione piuttosto ampia: vi è discriminazione diretta «quando (...) una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga» (comma 1, lett. a); è indiretta «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone (...) in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (comma 1, lett. b).
Sono considerate come discriminazioni anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per i suddetti motivi, aventi «lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo» (art. 2, comma 3).
COSA DEVE FARE IL SOGGETTO DISCRIMINATO: LA TUTELA LEGALE IN CASO DI DISCRIMINAZIONE
Il lavoratore disabile che ritiene di essere vittima di una discriminazione (o è stato oggetto di un comportamento pregiudizievole posto in essere quale reazione ad una sua precedente attività diretta ad ottenere la parità di trattamento) può ricorrere alla magistratura per ottenere un provvedimento di cessazione del comportamento illegittimo.
Il giudice, qualora accolga il ricorso, oltre a provvedere - se richiesto - al risarcimento del danno anche non patrimoniale, «ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti», e può disporre, al fine di impedire la ripetizione delle discriminazioni, l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate oltre alla pubblicazione della sentenza - a spese del convenuto - per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale (D. Lgs. 216/2003, art. 4, commi 5 e 7).
Infine il giudice adito deve tener conto, ai fini della liquidazione del danno subito dal ricorrente, della circostanza che l’atto o comportamento discriminatorio siano stati posti in essere per ritorsione ad una precedente azione giudiziale, ovvero quale ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
Per quanto attiene la casistica, la discriminazione nel mondo del lavoro può assumere le forme più svariate. Si pensi soltanto allo svolgimento dei concorsi pubblici ove le modalità concorsuali e di svolgimento delle prove risultano essere totalmente inadeguate per le persone con una disabilità di tipo intellettivo.
In questo caso la discriminazione, addirittura, è doppia. Sussiste inizialmente l'illusione che la discriminazione non esista in quanto il concorso è accessibile a TUTTI ma, è sufficiente la mera partecipazione da parte di un soggetto disabile per rendersi conto che quell'accessibilità era solo di mera facciata, in quanto poi, materialmente, il concorso è strutturato in modo tale da non essergli accessibile, proprio per le sue caratteristiche strutturali e funzionali.
Ma gli i più numerosi e subdoli episodi di discriminazione sono quelli che si manifestano durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, il cui esempio più clamoroso è senz'altro rappresentato dal MOBBING, ossia quella "violenza psicologica nell'ambito del rapporto di lavoro caratterizzata da reiterazione e da intento persecutorio, esercitata dal datore di lavoro direttamente, o indirettamente per il tramite di persone terze anche non dipendenti".
Trattasi, in concreto, di comportamenti di condizionamento negativo attuati nei confronti di lavoratori per il solo fatto che sono persone con disabilità.
LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
In materia di discriminazione è fondamentale il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n.216, il quale sancisce il divieto di discriminare sia nel settore pubblico sia in quello privato.
Nell’articolo 2 del Decreto è prevista una nozione di discriminazione piuttosto ampia: vi è discriminazione diretta «quando (...) una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga» (comma 1, lett. a); è indiretta «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone (...) in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (comma 1, lett. b).
Sono considerate come discriminazioni anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per i suddetti motivi, aventi «lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo» (art. 2, comma 3).
COSA DEVE FARE IL SOGGETTO DISCRIMINATO: LA TUTELA LEGALE IN CASO DI DISCRIMINAZIONE
Il lavoratore disabile che ritiene di essere vittima di una discriminazione (o è stato oggetto di un comportamento pregiudizievole posto in essere quale reazione ad una sua precedente attività diretta ad ottenere la parità di trattamento) può ricorrere alla magistratura per ottenere un provvedimento di cessazione del comportamento illegittimo.
Il giudice, qualora accolga il ricorso, oltre a provvedere - se richiesto - al risarcimento del danno anche non patrimoniale, «ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti», e può disporre, al fine di impedire la ripetizione delle discriminazioni, l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate oltre alla pubblicazione della sentenza - a spese del convenuto - per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale (D. Lgs. 216/2003, art. 4, commi 5 e 7).
Infine il giudice adito deve tener conto, ai fini della liquidazione del danno subito dal ricorrente, della circostanza che l’atto o comportamento discriminatorio siano stati posti in essere per ritorsione ad una precedente azione giudiziale, ovvero quale ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
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