Donald Trump, lavoro e tassazione negli USA


Trump vuole trasferire il potere al popolo e creare posti di lavoro. Prevedi una crescita economica americana? Dollaro, una valuta su cui investire?
Donald Trump, lavoro e tassazione negli USA
Donald Trump è un presidente non allevato come i predecessori in un partito, è uno che nella vita ha lavorato, sa come funzionano le cose e, proprio perché non proviene dalla politica, non deve ricambiare favori a nessuno. È per questo che l’establishment lo detesta. Trump ha capito una cosa fondamentale: la politica è una palude da ripulire a fondo e nel discorso inaugurale ha voluto sottolineare che la sua elezione non ha avuto nulla a che vedere con il rituale del trasferimento di potere tra partiti, i soli a prosperare nella palude mentre le fabbriche chiudono e i posti di lavoro evaporano. La sua elezione, ha affermato, è il trasferimento dei poteri al popolo. Parole da abile populista, ma è un fatto che Trump oggi esiste per i danni enormi commessi dalla sinistra progressista, il più grave dei quali è aver ignorato la classe lavoratrice. La creazione di posti di lavoro o riportare il lavoro in America, come dice Lui, è la vera, enorme sfida.
Trump da anni ha compreso che la "narrativa" della crescita economica americana era una bufala e sa bene che il suo Paese si è deindustrializzato dopo decenni di politiche folli che hanno toccato il culmine con Obama. Apple è un’azienda americana, ma tutti i componenti della gamma dei suoi prodotti, dall’iPhone all’iPad, dall’iPod al MacBook provengono dall’Asia. Fornitori e subfornitori di aziende come Ford, Chrysler e Tesla Motors sono acquistati al di fuori degli Usa.
In 60 Paesi, non si trova un prodotto made in Usa. Lo stesso dicasi facendo shopping on-line su Amazon.
Purtroppo l’inversione di rotta rischia di far infrangere l’America contro un enorme scoglio: il protezionismo. Trump crede di riportare il lavoro a casa scatenando guerre commerciali con i partner e, in particolare con la Cina, accusata anche di manipolare la sua valuta a danno dell’America? Ma chi nel mondo attuale non manipola la valuta? Non ricorda, "The Donald", che sono stati proprio gli Stati Uniti a fare scuola in questo campo? Non ricorda che fu proprio un suo famoso predecessore, nel 1971, a violare gli accordi monetari e dare inizio alle guerre e instabilità valutarie? Lo scambio Usa-Cina non è stato prodotti americani contro prodotti cinesi, ma debito statunitense contro prodotti cinesi.
Dio non voglia che Trump imbocchi la strada del protezionismo. Le conseguenze sono sempre disastrose e portano a vere e proprie guerre, quelle che Trump con la sua politica di distensione vuole evitare. Nessuno ha mai vinto con le guerre commerciali e Trump non pensi di essere più scaltro e intelligente dei suoi predecessori.
Trump ha solo un modo di ricostituire la supply chain e far ritornare il lavoro in America: renderla fiscalmente più competitiva. Come? Eliminando tasse sul reddito delle imprese e spostandole sui consumi con l'obiettivo di aumentare la domanda di lavoro e quindi l’occupazione. Tassare le imprese, invece, significa diminuire la domanda di lavoro e penalizzare l’occupazione. Tagliare le tasse sui redditi significa permettere alle piccole imprese di diventare medie, e alle medie di diventare grandi. Parallelamente, Trump dovrebbe tassare le imprese che non producono valore aggiunto all'interno ma all'estero. La misura può apparire odiosa, ma è l’unico modo di evitare l’imposizione di dazi e non contravvenire alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio che supervisiona gli accordi commerciali.

L’America divenne la più grande potenza mondiale proprio perché fino al 1913 non esistevano le tasse sui redditi, ma solo sui consumi.
La rivoluzione che Trump deve fare è di ritornare alle origini non solo tagliando le tasse ma anche quella spesa pubblica che rende prospera "la palude" e questo sarà il compito più difficile e impopolare perché gran parte dell’elettorato campa su sussidi.

La transizione pertanto sarà molto dura, ma Trump ha fatto l'errore di non dirlo chiaramente a un elettorato che dopo decenni di politiche distruttive si aspetta miracoli. Il rischio pertanto è che, per salvare capra e cavoli, perda di vista l’obiettivo fondamentale diventando il presidente di un nuovo establishment ammantato di anti-establishment.
Fonte: l’Opinione del 27 Gennaio 2017

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di Dott.ssa Alessandra Rosso

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