Dove si consuma un cybercrime
Nell'accesso abusivo a sistema informatico il reato è consumato nel luogo dove è installato il computer del colpevole
Parlare di internet vuol dire riferirsi ad un mondo affascinante ma oscuro, nel quale l’intero pianeta è connesso, nel quale i concetti di vicinanza e lontananza perdono di significato ed in cui l’idea stessa di luogo è di difficile definizione.
La presenza dell’informatica ha fatto sì che nascessero ulteriori figure giuridiche e che venissero coniati concetti prima impensabili, quale quello di "domicilio informatico", definito dalla Cassazione da ultimo con la sentenza n. 42021/2012 come quello spazio ideale e fisico, di pertinenza della persona, in cui sono conservati i dati informatici di sua proprietà, nel quale si estende la sua sfera di riservatezza ed inviolabilità garantita anche costituzionalmente.
Ciò comprende spazi quali la posta elettronica, il profilo di un social network, lo spazio di archiviazione di tipo cloud, ma anche il computer in tutte le sue parti idonee ad archiviare dati.
Nel caso in cui vi sia un accesso abusivo a sistema informatico, reato previsto e punito dall’art. 615 ter del codice penale, è lecito chiedersi in quale luogo fisico sia da ritenersi compiuto il reato consumato nel mondo virtuale.
A tale quesito ha dato una risposta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36338 del 2015, secondo cui: "In tema di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, il luogo di consumazione del delitto di cui all'art. 615-ter c.p. coincide con quello in cui si trova l'utente che, tramite elaboratore elettronico o altro dispositivo per il trattamento automatico dei dati, digitando la «parola chiave » o altrimenti eseguendo la procedura di autenticazione, supera le misure di sicurezza apposte dal titolare per selezionare gli accessi e per tutelare la banca dati memorizzata all'interno del sistema centrale ovvero vi si mantiene eccedendo i limiti dell'autorizzazione ricevuta."
Quanto appena descritto è importante, soprattutto, al fine di individuare il Foro competente per il relativo giudizio.
La presenza dell’informatica ha fatto sì che nascessero ulteriori figure giuridiche e che venissero coniati concetti prima impensabili, quale quello di "domicilio informatico", definito dalla Cassazione da ultimo con la sentenza n. 42021/2012 come quello spazio ideale e fisico, di pertinenza della persona, in cui sono conservati i dati informatici di sua proprietà, nel quale si estende la sua sfera di riservatezza ed inviolabilità garantita anche costituzionalmente.
Ciò comprende spazi quali la posta elettronica, il profilo di un social network, lo spazio di archiviazione di tipo cloud, ma anche il computer in tutte le sue parti idonee ad archiviare dati.
Nel caso in cui vi sia un accesso abusivo a sistema informatico, reato previsto e punito dall’art. 615 ter del codice penale, è lecito chiedersi in quale luogo fisico sia da ritenersi compiuto il reato consumato nel mondo virtuale.
A tale quesito ha dato una risposta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36338 del 2015, secondo cui: "In tema di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, il luogo di consumazione del delitto di cui all'art. 615-ter c.p. coincide con quello in cui si trova l'utente che, tramite elaboratore elettronico o altro dispositivo per il trattamento automatico dei dati, digitando la «parola chiave » o altrimenti eseguendo la procedura di autenticazione, supera le misure di sicurezza apposte dal titolare per selezionare gli accessi e per tutelare la banca dati memorizzata all'interno del sistema centrale ovvero vi si mantiene eccedendo i limiti dell'autorizzazione ricevuta."
Quanto appena descritto è importante, soprattutto, al fine di individuare il Foro competente per il relativo giudizio.
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