Due parole sui Bitcoin
Valute virtuali, base patrimoniale, crisi dello Stato e aspettative di conversione: una lettura della storia per valutare i rischi di investimento

La diffusione della moneta virtuale, sia essa il Bitcoin od ogni altro simile di questo, merita qualche nota di riflessione dal punto di vista legale, economico, storico e sociologico.
La moneta fa la sua comparsa nella storia per facilitare il traffico economico originariamente basato sul baratto. Si sostanzia in un elemento materiale - dalle conchiglie al conio - cui viene attribuito, e riconosciuto, un valore oggettivo e determinato, al cui parametro misurare il prezzo delle merci oggetto di scambio. La sua base, legale e sociale, è data dalla sua identificazione con una unità di valore sostanziale, che lo Stato in qualche modo garantisce: la convertibilità, generalmente in oro, resa stabile dall’esistenza di riserve custodite dal Tesoro, poi dalla Banca Centrale, che ne assicurano la base patrimoniale.
Allo stesso modo, il suo valore è fondato sulla fiducia che la conversione potrà avvenire, in qualunque momento ad un livello determinato. Questi due elementi, valore e fiducia nella conversione, semplificando un po’ il ragionamento, sono poi rafforzati nel contesto sociale dalle misure di legge che impongono l’adozione della moneta negli scambi, allo stesso tempo stabilizzando i prezzi ed i rapporti di cambio tra valute diverse.
Si vede come dietro alla moneta, nella sua concezione storica tradizionale, vi siano dunque gli elementi del patrimonio, del controllo (monopolio) della sua emissione, della statualità. Ed infatti, battere moneta, insieme ad amministrare giustizia e monopolizzare l’uso della forza, sono le caratteristiche dello Stato nel suo concetto dottrinario primigenio.
L’internazionalizzazione dei traffici ha poi elaborato strumenti che si sono affiancati alla moneta, facilitandone il cambiar di mano senza implicarne lo spostamento fisico: lettere di credito e cambiali, per iniziare (ma anche la carta moneta, a ben vedere). Questi strumenti cartolari, comunque, non prescindono dalla base patrimoniale, sono solo mezzi di circolazione. Accettati perché di riconosciuta provenienza da debitori (Stato compreso) che ne riconosceranno il valore in moneta/oro a semplice richiesta.
Solo in tempi molto recenti gli stati hanno sperimentato lo sganciamento del valore della moneta dalla sua base patrimoniale, introducendone il corso forzoso (cui lo Stato impone corso legale, ancorché priva di valore intrinseco) e rinunciando alla convertibilità in oro. Pur determinando così la fine dei cambi fissi e l’avvento delle grandi fluttuazioni dei prezzi, queste novità non hanno realmente intaccato la fiducia nella moneta, il cui valore rimane perché identificato in quello dello Stato che la emette, e, in qualche modo, la garantisce. Svalutazioni e tempeste valutarie sono il termometro della fiducia nella solidità di queste garanzie, e quindi nell’economia sottostante, ma si può estremizzarne la portata ad una crisi finanziaria, non (necessariamente) economica. C’è fiducia nello Stato, la si trasfonde nella sua moneta.
Da qualche anno prendono piede prima gli strumenti finanziari derivati - pezzi di carta, contratti di opinabile validità giuridica, che consentono di scommettere su più o meno determinate grandezze sottostanti, grandezze però di matrice finanziaria, non economica, sicché il loro valore è tanto incerto che molti ci si scotteranno le mani, attratti dal potenziale di guadagno e dimentichi delle considerazioni di base quanto a patrimonialità, affidabilità dell’emittente, quindi garanzia del valore - ed ora le monete virtuali.
Queste ultime sono ancor più misteriose dei derivati. Non si sa bene chi le emetta, ed a fronte di cosa. Non c’è una base patrimoniale a garantirne il valore, né un sistema di leggi a riconoscerne la circolazione, né infine un libero mercato in cui esse possano essere utilizzate, ma solo una "convenzione" che ad esse attribuisce un valore, fondato sulla spendibilità in ambiti delimitati e sulla speranza di una futura convertibilità in monete "legali".
Si potrebbe anche dire, sono strumenti finanziari fondati sull’aspettativa della crisi, e definitiva scomparsa, dello Stato, o meglio ancora degli Stati, sulla speranza di disintermediazione della vita politica, economica e sociale.
Quanto possa esserne fatuo il fuoco, lo dirà la Storia. Quanto ne sia rischioso l’investimento, dovrebbe insegnarlo l’esperienza, visto che nulla le distingue davvero dalle scommesse (clandestine) su eventi non controllabili, nessuno ne assicura il futuro, niente supporta davvero la loro circolazione. Denaro, sterco del Diavolo!
La moneta fa la sua comparsa nella storia per facilitare il traffico economico originariamente basato sul baratto. Si sostanzia in un elemento materiale - dalle conchiglie al conio - cui viene attribuito, e riconosciuto, un valore oggettivo e determinato, al cui parametro misurare il prezzo delle merci oggetto di scambio. La sua base, legale e sociale, è data dalla sua identificazione con una unità di valore sostanziale, che lo Stato in qualche modo garantisce: la convertibilità, generalmente in oro, resa stabile dall’esistenza di riserve custodite dal Tesoro, poi dalla Banca Centrale, che ne assicurano la base patrimoniale.
Allo stesso modo, il suo valore è fondato sulla fiducia che la conversione potrà avvenire, in qualunque momento ad un livello determinato. Questi due elementi, valore e fiducia nella conversione, semplificando un po’ il ragionamento, sono poi rafforzati nel contesto sociale dalle misure di legge che impongono l’adozione della moneta negli scambi, allo stesso tempo stabilizzando i prezzi ed i rapporti di cambio tra valute diverse.
Si vede come dietro alla moneta, nella sua concezione storica tradizionale, vi siano dunque gli elementi del patrimonio, del controllo (monopolio) della sua emissione, della statualità. Ed infatti, battere moneta, insieme ad amministrare giustizia e monopolizzare l’uso della forza, sono le caratteristiche dello Stato nel suo concetto dottrinario primigenio.
L’internazionalizzazione dei traffici ha poi elaborato strumenti che si sono affiancati alla moneta, facilitandone il cambiar di mano senza implicarne lo spostamento fisico: lettere di credito e cambiali, per iniziare (ma anche la carta moneta, a ben vedere). Questi strumenti cartolari, comunque, non prescindono dalla base patrimoniale, sono solo mezzi di circolazione. Accettati perché di riconosciuta provenienza da debitori (Stato compreso) che ne riconosceranno il valore in moneta/oro a semplice richiesta.
Solo in tempi molto recenti gli stati hanno sperimentato lo sganciamento del valore della moneta dalla sua base patrimoniale, introducendone il corso forzoso (cui lo Stato impone corso legale, ancorché priva di valore intrinseco) e rinunciando alla convertibilità in oro. Pur determinando così la fine dei cambi fissi e l’avvento delle grandi fluttuazioni dei prezzi, queste novità non hanno realmente intaccato la fiducia nella moneta, il cui valore rimane perché identificato in quello dello Stato che la emette, e, in qualche modo, la garantisce. Svalutazioni e tempeste valutarie sono il termometro della fiducia nella solidità di queste garanzie, e quindi nell’economia sottostante, ma si può estremizzarne la portata ad una crisi finanziaria, non (necessariamente) economica. C’è fiducia nello Stato, la si trasfonde nella sua moneta.
Da qualche anno prendono piede prima gli strumenti finanziari derivati - pezzi di carta, contratti di opinabile validità giuridica, che consentono di scommettere su più o meno determinate grandezze sottostanti, grandezze però di matrice finanziaria, non economica, sicché il loro valore è tanto incerto che molti ci si scotteranno le mani, attratti dal potenziale di guadagno e dimentichi delle considerazioni di base quanto a patrimonialità, affidabilità dell’emittente, quindi garanzia del valore - ed ora le monete virtuali.
Queste ultime sono ancor più misteriose dei derivati. Non si sa bene chi le emetta, ed a fronte di cosa. Non c’è una base patrimoniale a garantirne il valore, né un sistema di leggi a riconoscerne la circolazione, né infine un libero mercato in cui esse possano essere utilizzate, ma solo una "convenzione" che ad esse attribuisce un valore, fondato sulla spendibilità in ambiti delimitati e sulla speranza di una futura convertibilità in monete "legali".
Si potrebbe anche dire, sono strumenti finanziari fondati sull’aspettativa della crisi, e definitiva scomparsa, dello Stato, o meglio ancora degli Stati, sulla speranza di disintermediazione della vita politica, economica e sociale.
Quanto possa esserne fatuo il fuoco, lo dirà la Storia. Quanto ne sia rischioso l’investimento, dovrebbe insegnarlo l’esperienza, visto che nulla le distingue davvero dalle scommesse (clandestine) su eventi non controllabili, nessuno ne assicura il futuro, niente supporta davvero la loro circolazione. Denaro, sterco del Diavolo!
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