E' l'umore a determinare l'efficacia delle persone sul posto di lavoro
In una recente ricerca, la Harvard Medical School ha rilevato che ben il 96% dei manager è vittima di burnout, una sindrome da stress che incide sulla capacità relazionale, emozionale e professionale delle persone e ha pesanti ricadute sui risultati che le aziende sperimentano, tra cui perdita delle entrate, assenteismo e incidenti sul lavoro in crescita.
La società statunitense di analisi Gallup, che ogni anno stila il rapporto sulla felicità nel mondo, stima che l’87% dei dipendenti è demotivato e, questo, provoca una carenza di produttività pari a circa 500 miliardi di dollari a livello globale.
Se i dipendenti stanno bene, l’azienda cresce di più e meglio, tanto che negli Stati Uniti (e ormai anche in Europa, almeno nei paesi del Nord) si sta sempre più diffondendo la figura del Chief of Happiness Officer, il responsabile della felicità aziendale, che ha il compito di garantire il benessere e la felicità dei dipendenti al fine di migliorare il conto economico.
Un’utopia? Niente affatto, uno studio citato nell’ultimo rapporto di Gallup, pubblicato qualche settimana fa, mostra che nel periodo compreso fra il 2000 e il 2014 le aziende dello Standard and Poor’s (S&P) 500 Index che hanno investito in programmi per la salute e il benessere dei propri dipendenti hanno visto crescere il valore delle proprie azioni del 325%, mentre quelle che non lo hanno fatto si sono fermate al 105%.
Chi investe in felicità cresce il triplo
Da dove iniziare? A mio avviso dalla categoria di sprechi più trascurata in azienda, quelli relativi alle relazioni, al modo di stare con gli altri e soprattutto con se stessi.
I lavoratori più felici sono quelli che hanno una manciata di relazioni significative sul posto di lavoro. Questo perché siamo biologicamente predisposti alla socialità. Non è stata la specie più forte ad evolvere, ma quella che nel processo di adattamento all’ambiente esterno ha saputo cooperare.
Come sostengono nel loro libro “Alla ricerca dell'eccellenza. Lezioni dalle aziende meglio gestite” Tom Peters e Robert H. Waterman, nelle aziende di maggior successo si respira un clima positivo, si scherza e si celebrano i risultati.
La mancanza di allegria è un costo. L’allegria è come il lievito: se manca, le torte vengono male.
La felicità al lavoro è una competenza che si può allenare, iniziando dal riconoscere il modo con cui stiamo in relazione con noi stessi, come ci trattiamo bene o ci maltrattiamo, valorizzando i diversi segnali di fatica che percepiamo e intervenendo su di essi al fine di relazionarci meglio anche con gli altri.
Il cervello può essere messo in uno stato positivo in cui apprende più velocemente, è più creativo e intelligente, questo serve per vivere al meglio la nostra vita, più connessi a noi stessi e di conseguenza anche agli altri.
“Le persone felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno”.
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