Elusione fiscale e abuso del diritto


Trasferimento fittizio della residenza fiscale di una persona fisica all’estero
Elusione fiscale e abuso del diritto
L’Agenzia delle Entrate sta sviluppando un’attività rivolta a reprimere trasferimenti fittizi di residenza all’estero dei contribuenti persone fisiche, con l’obiettivo di riportare in Italia residenze fiscali e relativa materia imponibile. Gli elementi che determinano la residenza fiscale di una persona sono l’iscrizione anagrafica, il domicilio (ossia la sede principale degli affari e interessi e la residenza (la dimora abituale).

E’ considerato fiscalmente residente un soggetto che rispetta anche solo uno dei tre requisiti summenzionati. L’art. 2 del TUIR contiene infatti una nozione di residenza fiscale più ampia di quella civilistica, comprendendo sia le persone che per la maggior parte dell’anno sono rimaste iscritte all’Anagrafe di comuni italiani, sia quelle che hanno dimorato abitualmente in Italia, sia infine quelle che hanno comunque mantenuto nel territorio nazionale il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari e interessi (economici e personali).

Il contribuente trasferito all’estero deve quindi fornire prova contro la presunzione di fittizietà del trasferimento all’estero avanzata dall’Agenzia delle Entrate. Ad esempio, il fatto che
figli/moglie (marito) del contribuente, risiedano in Italia rappresenta senza dubbio un indizio importante per poter affermare la residenza fiscale in Italia dello stesso contribuente.
La prova della persistenza di rapporti economici (tra cui per esempio anche il conto corrente bancario) e personali con l’Italia (anche nei periodi d’imposta anteriore e successivo a quello oggetto della controversia) dimostra la permanenza del domicilio del contribuente in Italia senza soluzione di continuità. La non convivenza del contribuente con il coniuge residente in Italia, attestata dalla produzione in giudizio dello stato di famiglia, non prova l’insussistenza di legami affettivi e familiari con l’Italia, atteso che ex art. 45 comma 1 c.c., il domicilio di ciascuno dei componenti o qualsiasi coppia di coniugi può essere diverso.

Il contribuente che essendosi iscritto all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero), risulti aver mantenuto in Italia la propria dimora abituale o la sede principale dei propri affari ed interessi, potrà peraltro essere comunque considerato (fiscalmente) residente nel territorio dello Stato. Infatti, a differenza dell’iscrizione nell’Anagrafe dei residenti nello Stato, che rappresenta una presunzione legale contro cui non è ammessa prova contraria, l’iscrizione all’AIRE è infatti suscettibile di prova contraria. In tal senso si è pronunciata recentemente anche la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 14434 del 15 giugno 2010, con la quale è stata confermata la legittimità delle pretese dell’Ufficio, stabilendo che la sola iscrizione nell’Anagrafe dei residenti all’estero non è determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, mentre ciò che conta è il fatto che in Italia ci sia il domicilio, laddove il centro principale degli interessi del soggetto deve essere identificato nel luogo in cui la gestione di questi interessi viene esercitata abitualmente "vale a dire in modo riconoscibile da terzi".

Ciò che rileva, evidenzia ancora la Corte suprema, è il principio di effettività e non la volontà individuale del contribuente. La Suprema Corte, peraltro, nella sentenza n. 13803 del 2001, ha anche elencato alcuni degli elementi rilevanti al fine di appurare l’esistenza di legami personali: la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali.

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di Dott. Riccardo Veneziano

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