Emilio Segrè: un italiano nel Mondo e il suo Nobel


Per parlare di innovazione e dei talenti italiani abbiamo pensato a raccontarvi la storia dello scopritore dell'antoprotone.
Emilio Segrè: un italiano nel Mondo e il suo Nobel
Emilio Segrè il Nobel per la fisica che scoprì l’antiprotone. Un italiano nel mondo, un dono alla scienza e all’innovazione.
Forse noi italiani soffriamo un po’ di un pregiudizio verso noi stessi e non siamo in grado di vederci per come invece siamo, un popolo eccellente che esporta, così come molti altri paesi che invece invidiamo, tanta tecnologia e innovazione. E lo fa oggi come ieri, molti uomini del Bel Paese hanno contribuito con le loro invenzioni e le loro ricerche a rendere grande questo Mondo.
Se ci riappropriassimo della nostra identità culturale proprio a partire dalle menti che hanno reso gloria all’Italia potremmo parlare di innovazione e proprietà intellettuale con più orgoglio e trasporto.
Non sto parlando solo di Volta o Meucci, ma di uomini spesso poco conosciuti proprio perché facenti parte di discipline che di certo non hanno molta presa come altre tipologie di notizie. E come spesso abbiamo fatto sul nostro blog oggi proponiamo una delle tante vite che con impegno e genio ha indagato i misteri della fisica.
Si laurea a Roma nel 1928 ed entrato a far parte del gruppo di via Panisperna, la celebre unione dei fisici italiani collaborarono con l’ancora più celebre Enrico Fermi, inizia a lavorare sulle ricerche sulla fisica del neutrone.Quando in Italia venivano emanate le Leggi Razziali si trovava all’Università di Berkeley, nel frattempo era già diventato docente di fisica sperimentale a Palermo, ma gli avvenimenti politici lo costrinsero a non fare ritorno in Italia, a Londra ci restò per il resto della sua vita. Segrè, nato a Tivoli nel 1901, proveniva da una famiglia ebraica; tra il 28 e il 29 esercitò anche il periodo di leva poi lavorò con Otto Stern ad Amburgo e con Pieter Zeeman presso la Rockefeller Foundation. Troppo esposto per poter tornare, troppe cose da fare per farsi fermare da semplici questioni politiche. Nel 1946 però tornò in California e solo nel 1974 gli fu proposta una posizione che potesse farlo rientrare in Patria, quando fu chiamato a ricoprire la cattedra di Fisica nucleare all’Università di Roma. Morì a Lafayette, in California nel 1989.
Come spesso accade in momenti storici importanti, Segrè insieme a Fermi e Rossi, durante la Seconda guerra mondiale furono tra gli scienziati del team del Progetto Manhattan. L’acquisizione di strumentazione e tecnologie avanzate alle quali avevano accesso consentirono al nostro personaggio di oggi, di dedicarsi, nell’immediato dopoguerra ai problemi riguardanti la "fisica nucleare delle particelle elementari" e nel 1955, anche grazie agli studi congiunti con Owen Chamberlain, scoprì l’antiprotone "nell’interazione protone-neutrone ad alta energia". Nel 1959, per questa ragione, riceverà il Premio Nobel per la Fisica.
In quell’occasione l’umiltà di Emilio ci tenne a sottolineare quanto il premio ricevuto fosse frutto del lavoro di molte altre presone, come Oreste Piccioni, ad esempio, che facilitò in sede di esperimenti tra Segré e Chamberlain, la possibilità di utilizzare una sofisticata strumentazione per ridurre i margini di errore, nell’osservazione della particella, in maniera indiretta (1954). O ancora come nel caso di Edoardo Amaldi che propose allo scienziato di proseguire le ricerche sull’antiprotone servendosi del Bevatron in dotazione alla Berkeley piuttosto che "la radiazione cosmica, capricciosa e incontrollabile" e questo consiglio, ovviamente subito messo in pratica, produsse gli effetti sperati e i risultati furono spediti a Roma al Gruppo di via Perisperna per un’accurata analisi. Senza i loro contributi non avrebbero potuto fare molto in così poco tempo.
Tra le altre sue scoperte si ricorda quella del tecnezio e assieme al team londinese il plutonio.
Una vita che può servire da stimolo, molti ne hanno tratto ispirazione, altri ancora hanno continuato le sue ricerche. Una cosa è certa che non dobbiamo mai accontentarci quanto piuttosto lodare i pregevoli contributi che i nostri scienziati hanno offerto all’innovazione globale.

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di Studio Rubino

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