Empowerment: il caso di Carlo e dei colloqui mancati
"Pensiamo che sia facile imparare dalla storia, ma in realtà, a distanza di decenni, osserviamo che ci troviamo a vivere situazioni simili e rischiamo di ripetere gli stessi errori" nella sostanza, sono alcune considerazioni che Lilli Gruber ha portato qualche giorno fa, tra altre riflessioni nel corso di un breve momento di presentazione del suo nuovo libro ad un grande network radiofonico nazionale.
Un tema che mi è ovviamente saltato all'orecchio: nella storia come nel nostro quotidiano, noi tutti fatichiamo ad imparare e, se non tendiamo a ripetere i comportamenti di chi ci ha preceduto, cerchiamo vie di fuga per non affrontare il problema. “Imparare” implica dover stare nella tensione verso altro, nella ricerca di un nuovo equilibrio, e questo é faticoso se non doloroso. Un concetto che mi sono trovata a spiegare recentemente ad un giovane manager che seguo in un percorso individuale di empowerment.
Carlo - il nome è ovviamente di fantasia - è un giovane manager, nato e cresciuto in una cittadina della pianura lombarda, in una famiglia dai valori tradizionali: papà lavora come ingegnere in un'azienda a poca distanza da casa, è un uomo tendenzialmente taciturno e spesso è assorto nei suoi pensieri, mamma si occupa dell'azienda agricola della famiglia di origine e ha come prima preoccupazione la salute delle mucche da latte della stalla dei nonni. Carlo ha doti creative e a fatica ottiene di studiare design industriale a Firenze e al termine dell'Università parte per il mondo, rientrando in Italia dietro una chiamata di papà che gli segnala l'opportunità dell’azienda dove ancora lavora, che é leader nel settore per cui Carlo si è formato e richiede proprio una figura con le sue competenze. Carlo quindi rientra e inizia a collaborare nell’azienda dove ancora lavora papà. Ne segue qualche anno di soddisfazione, grazie alla delega per lo sviluppo di nuovi progetti e ai frequenti viaggi verso i siti produttivi in oriente. La vita è rosea, fino a quando il passaggio generazionale ai vertici dell'azienda non lo induce a stare di più alla scrivania e a vedere il confine del proprio lavoro nelle ore trascorse sempre più in ufficio. Vorrebbe andarsene e trovare altre collaborazioni. Fa alcuni colloqui che tuttavia non vanno a buon fine e, quindi, chiede aiuto per migliorare le sue performance. Come é possibile che uno come lui non gestisca bene un colloquio, tanto da inanellare parecchi insuccessi? E comunque, ha mai provato a parlare con i nuovi dirigenti per valutare una diversa progettualità nel posto in cui lavora? Papà conosce l'azienda e la famiglia che la gestisce: cosa ne pensa della sua situazione? Con sgomento, Carlo si rende conto che non solo non lo sa, ma la sola idea di chiedere un parere a suo padre lo mette in difficoltà. Mai in passato é riuscito ad avere un dialogo con lui e a potergli esprimere le sue esigenze, e ha sempre avuto la sensazione che lui non lo vedesse nemmeno! Come un eco, ora sente la stessa difficoltà, all’idea di affrontare gli attuali capi. La stessa sensazione, in fondo, di non essere visto veramente nelle sue capacità e competenze e un gran peso dentro a fare un passo verso di loro.
Conosciamo tutti gli studi di Darwin e di Lorenz, almeno nelle sue semplificazioni: noi impariamo da chi ci ha allevato, per una sorta di imprinting genitoriale e riusciamo tuttavia ad evolvere solo se abbiamo la capacità di mobilitare le nostre energie per cambiare in relazione ai vincoli dell’ambiente. Ecco allora che dai nostri genitori acquisiamo le basi della relazione e iniziamo a scrivere il nostro modo di andare nel mondo. E’ evidente che, quello che non ho imparato perché i miei genitori 'non lo sapevano’, non lo posso andare a scrivere. Necessariamente lo devo trovare in me e in chi voglio “diventare” nel futuro.
Così, avendo avuto relazioni frustranti e non avendo allenato la sua capacità di esprimere compiutamente le proprie esigenze con le figure genitoriali, nei momenti critici Carlo non 'sa come fare’ e tende ad evitare, a trovare altre strade. Risultato è che crescono rabbia e frustrazione, nella sua incapacità di esprimere e negoziare in modo adulto ed efficace. E anche i nuovi colloqui per altre collaborazioni risultano deboli.
Ecco allora che un percorso di empowerment, permette di acquisire consapevolezza dei meccanismi del nostro comportamento attuale, e poter scegliere se continuare ad adottarli o cambiare. Unitamente ad un counselor, la persona definisce meglio l’obiettivo che vuole raggiungere e, quindi, individua la modalità più utile per sé.
Strategie di fuga, figure genitoriali e comportamenti acquisiti, assunzione interna di responsabilità e comunicazione assertiva: questi i temi che toccano individualmente Carlo e che potrà portare come cambiamento efficace nella sua vita e nella società.
Buona crescita a tutti!
Articolo del: