Esami invasivi e rapporto medico e paziente
L'articolo esamina il tema del diritto all'informazione medica nell'ambito specifico della medicina predittiva relativa a patologie genetiche feto.

Nel quadro del rapporto tra il medico e il paziente assume particolare rilevanza il diritto a ricevere un'informazione completa e comprensibile, adeguata a comprendere sia il senso di una prescrizione sia le ragioni del suo eventuale rifiuto, da parte del medico il quale, nell'ambito del medesimo rapporto, aziona anche il proprio diritto al corretto esercizio della professione medica.
Queste considerazioni assumono particolare rilevanza nel contesto della c.d. medicina predittiva, ossia quella pratica medica impegnata ad individuare la presenza di patologie sulla base della positività a taluni screening che permettono di identificarne la presenza con elevato grado di probabilità. Nel caso della medicina predittiva prenatale, in modo particolare, la potenziale patologia, oggetto dell'indagine, riguarda un terzo soggetto, ossia il bambino nel corso della gravidanza, la cui patologia genetica, eventualmente manifestatasi al momento della nascita, può costituire il motivo di doglianze da parte dei genitori nei confronti di medici ed aziende ospedaliere con i quali si sia stabilito un rapporto avente ad oggetto prestazioni sanitarie nel contesto descritto, specialmente laddove la prescrizione degli esami previsti per "predire" la patologia del feto non abbia seguito pedissequamente ed acriticamente la richiesta del o dei genitori, ma abbia formato oggetto di una relazione medica all'esito della quale vi sia stata l'astensione dalla pratica dell'indagine, per motivi legati ai rischi per l'integrità fisica del feto, quali quelli derivanti, ad esempio, dall'amniocentesi.
Su un'ipotesi di tal genere si è recentissimamente pronunciata la Corte di Cassazione [sentenza 2847 del 13 febbraio 2015 pubblicata in Banca Dati Dea, 2015, Massima Redazionale], la quale ha stabilito che «La responsabilità del medico conseguente alla mancata ottemperanza agli obblighi informativi, ha carattere contrattuale e non precontrattuale, di talché a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento di tali oneri, il professionista è gravato dall'onere di provare di aver adempiuto la relativa obbligazione». Procedendo dalla premessa che qualifica «il medico gravato dell'onere della prova di avere adempiuto alla relativa obbligazione (Cass. civ. 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ. 9 febbraio 2010, n. 2847) [Cass. 2847/2015 cit.]» avente ad oggetto gli obblighi di informazione, osserva che «detta informazione deve essere completa, senza che si possa presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo queste incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve comunque sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e adeguate al livello culturale del destinatario (confr. Cass. civ. 11 dicembre 2013, n. 27751; Cass. civ. 20 agosto 2013, n. 19220) [Cass. 2847/2015 cit.]», la sentenza della Cassazione ha confermato l'orientamento già espresso dalle Corti di merito (il Tribunale di Rovigo e la Corte d'Appello di Venezia), escludendo un comportamento omissivo dei medici evocati in giudizio, qualificando la loro condotta dissuasiva dell'amniocentesi, nello specifico caso richiesta, perfettamente compatibile con l'obbligo di esaustiva informazione alla quale i medici erano e sono tenuti e la cui condotta si era articolata in più fasi, dal medico curante della gestante e dallo specialista in ginecologia cui il primo aveva rinviato la paziente (del resto «Rientra invero nei doveri informativi del buon sanitario allertare il paziente sui pericoli connessi all'espletamento di indagini invasive, invitandolo a consultare, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, l'esperto del settore [Cass. 2847/2015 cit.]»). Detta dissuasione, nel caso del primo medico, si era resa manifesta mediante la «prospettazione dei rischi abortivi connessi a un accertamento particolarmente invasivo che, in mancanza di precedenti familiari, non appariva necessario», mentre, nel quadro del rapporto con il medico specialista in ginecologia, era stata la stessa gestante ad avere finalmente maturato il proposito di astenersi dall'effettuare l'esame «per tutelare una gravidanza preziosa, in quanto insorta dopo 18 anni di matrimonio [Cass. 2847/2015 cit.]».
La sentenza in commento definisce il diritto di informazione nel rapporto medico paziente come una realtà circolare, azionata congiuntamente da entrambi i soggetti che lo compongono e che ruota attorno alla prescrizione, tesa a soddisfare un interesse alla cura, mediante competenza e diligenza, nel rispetto del diritto alla salute di tutti i soggetti coinvolti, i quali, nel caso della medicina predittiva prenatale, sono portatori di interessi, non sempre compatibili tra di loro.
Queste considerazioni assumono particolare rilevanza nel contesto della c.d. medicina predittiva, ossia quella pratica medica impegnata ad individuare la presenza di patologie sulla base della positività a taluni screening che permettono di identificarne la presenza con elevato grado di probabilità. Nel caso della medicina predittiva prenatale, in modo particolare, la potenziale patologia, oggetto dell'indagine, riguarda un terzo soggetto, ossia il bambino nel corso della gravidanza, la cui patologia genetica, eventualmente manifestatasi al momento della nascita, può costituire il motivo di doglianze da parte dei genitori nei confronti di medici ed aziende ospedaliere con i quali si sia stabilito un rapporto avente ad oggetto prestazioni sanitarie nel contesto descritto, specialmente laddove la prescrizione degli esami previsti per "predire" la patologia del feto non abbia seguito pedissequamente ed acriticamente la richiesta del o dei genitori, ma abbia formato oggetto di una relazione medica all'esito della quale vi sia stata l'astensione dalla pratica dell'indagine, per motivi legati ai rischi per l'integrità fisica del feto, quali quelli derivanti, ad esempio, dall'amniocentesi.
Su un'ipotesi di tal genere si è recentissimamente pronunciata la Corte di Cassazione [sentenza 2847 del 13 febbraio 2015 pubblicata in Banca Dati Dea, 2015, Massima Redazionale], la quale ha stabilito che «La responsabilità del medico conseguente alla mancata ottemperanza agli obblighi informativi, ha carattere contrattuale e non precontrattuale, di talché a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento di tali oneri, il professionista è gravato dall'onere di provare di aver adempiuto la relativa obbligazione». Procedendo dalla premessa che qualifica «il medico gravato dell'onere della prova di avere adempiuto alla relativa obbligazione (Cass. civ. 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ. 9 febbraio 2010, n. 2847) [Cass. 2847/2015 cit.]» avente ad oggetto gli obblighi di informazione, osserva che «detta informazione deve essere completa, senza che si possa presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo queste incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve comunque sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e adeguate al livello culturale del destinatario (confr. Cass. civ. 11 dicembre 2013, n. 27751; Cass. civ. 20 agosto 2013, n. 19220) [Cass. 2847/2015 cit.]», la sentenza della Cassazione ha confermato l'orientamento già espresso dalle Corti di merito (il Tribunale di Rovigo e la Corte d'Appello di Venezia), escludendo un comportamento omissivo dei medici evocati in giudizio, qualificando la loro condotta dissuasiva dell'amniocentesi, nello specifico caso richiesta, perfettamente compatibile con l'obbligo di esaustiva informazione alla quale i medici erano e sono tenuti e la cui condotta si era articolata in più fasi, dal medico curante della gestante e dallo specialista in ginecologia cui il primo aveva rinviato la paziente (del resto «Rientra invero nei doveri informativi del buon sanitario allertare il paziente sui pericoli connessi all'espletamento di indagini invasive, invitandolo a consultare, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, l'esperto del settore [Cass. 2847/2015 cit.]»). Detta dissuasione, nel caso del primo medico, si era resa manifesta mediante la «prospettazione dei rischi abortivi connessi a un accertamento particolarmente invasivo che, in mancanza di precedenti familiari, non appariva necessario», mentre, nel quadro del rapporto con il medico specialista in ginecologia, era stata la stessa gestante ad avere finalmente maturato il proposito di astenersi dall'effettuare l'esame «per tutelare una gravidanza preziosa, in quanto insorta dopo 18 anni di matrimonio [Cass. 2847/2015 cit.]».
La sentenza in commento definisce il diritto di informazione nel rapporto medico paziente come una realtà circolare, azionata congiuntamente da entrambi i soggetti che lo compongono e che ruota attorno alla prescrizione, tesa a soddisfare un interesse alla cura, mediante competenza e diligenza, nel rispetto del diritto alla salute di tutti i soggetti coinvolti, i quali, nel caso della medicina predittiva prenatale, sono portatori di interessi, non sempre compatibili tra di loro.
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