Facebook & Co. e il (falso) problema della privacy


La finanza e la riservatezza ai tempi dei social network
Facebook & Co. e il (falso) problema della privacy
Non più di vent'anni fa le ragazzine tenevano un diario.
Scrivevano dei loro amori, delle amicizie, delle gioie e delle pene sulle pagine inaccessibili del loro segretissimo giornale.
Chiunque avesse violato quello spazio sacro, avrebbe commesso il più grande dei sacrilegi.
Oggi, le adolescenti hanno il bisogno spasmodico opposto di condividere tutto: foto, opinioni, commenti lusinghieri sui profili di coetanei e anche pareri sprezzanti, senza tanti scrupoli.
Ignare forse, che quello strumento che le ha catapultate in pochi anni dalla riservatezza della cameretta alla potenziale visibilità pari a quella di personaggi famosi, non è e non sarà, e non potrebbe essere gratuito.
Abbiamo volontariamente mercificato quello che di più privato e prezioso potevamo avere, in cambio di follower e di like.
Una volta irretite le masse, inebriate da una sorta di delirio di popolarità, stuzzicate dalla possibilità di ammiccamenti online e volontariamente recluse sulle varie piattaforme, le aziende hanno intravisto una straordinaria opportunità: inviare messaggi mirati alle diverse tipologie di persone presenti nei vari "recinti".
Se l'esigenza di conoscere i dati anagrafici, gli interessi, la formazione accademica, l'orientamento politico, religioso e sessuale poteva essere giustificata dalla possibilità di venire in contatto con persone affini, in realtà è stata la più grande profilazione commerciale e intellettuale del pianeta.
Oggi, al centro del dibattito, non c'è la legittimità di questo "censimento" mondiale; bensì si discute sull'utilizzo di questi dati e sulla possibile manipolazione colletiva in faccende che vanno ben oltre la sfera goliardica o ludica degli iscritti.
Molti pensano che sia sufficiente cancellare il proprio profilo per tornare ad essere liberi.

Tuttavia, pochi sono consapevoli che ogni volta che si accede al web, con l'intento di attingere informazioni, in realtà si contribuisce a fornire dati alla rete: chi siamo, cosa cerchiamo, quali sono i nostri dubbi e così via, sono elementi che vengono registrati ed elaborati, in modo da restituirci indicazioni basate sul nostro profilo di utenza.
Con o senza foto, poco importa.

D'altra parte, garantire l'anonimato significherebbe creare delle falle nella sicurezza mondiale, oggi non più accettabili.

Cosa si può fare?
In primis, occorre non essere ingenui.
Bisogna essere consapevoli dei meccanismi e dei rischi connessi con l'utilizzo della rete.

Per esempio, parlando di finanza, non è raro trovare pubblicità (anche sui social network) che incoraggiano ad addentrarsi in processi di trading online.
Possono comparire dei post farciti da commenti entusiasti sui risultati ottenuti da questa o quella tecnica di negoziazione, oppure si esalta la facilità con cui è possibile guadagnare denaro.

Cliccare con il proprio smartphone (anche per curiosità) su alcuni banner, potrebbe autorizzare (attraverso argute acrobazie legali) qualche società a fornire i nostri dati ad altrettante aziende che potrebbero contattarci per proporre beni o servizi.
Come in ogni ambito, la miglior arma per difendersi, resta la consapevolezza.

Perdere qualche minuto per capire le implicazioni del registrarsi ad un social network, o pensarci due volte prima di postare o condividere qualcosa, e provare a caprie cosa dicono di noi i like che distribuiamo magari con tanta leggerezza (tanto mica costano), può fare una grandissima differenza.

La strada è segnata.
Difficilmente si potrà tornare indietro.
Non esiste tuttavia, borseggiatore così abile da portarci via ciò che non abbiamo con noi.

Ecco perchè, il buon senso di tenere per sè i propri momenti privati, i propri pensieri profondi, potrebbe essere un importante passo per difendere ciò che di più caro abbiamo: la nostra intimità.

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di Alessandro Tamburini

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