Fallimento e società in liquidazione
Per le società in liquidazione si deve verificare l’adeguatezza del patrimonio e non la capacità di proseguire l’attività
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 12382 del 27 gennaio 2017, depositata il 17 maggio scorso, ha innanzi tutto evidenziato che l’onere della prova dello stato di insolvenza grava non sul debitore ma sul creditore che propone l’istanza di fallimento, in applicazione dall’art. 2697 del codice civile, che al comma 1 dispone "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.", mentre sul debitore grava la prova della sussistenza di eventuali elementi che possano escludere la sua fallibilità, come ad esempio le esclusioni previste dall’art. 1, comma 2, della Legge Fallimentare: "Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.".
Inoltre, ed è la parte più rilevante della sentenza in questione, ha richiamato il principio per cui "Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, al fine dell’applicazione dell’art. 5 legge fallimentare, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo fra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte"[1].
In sostanza, la società in liquidazione ha come obiettivo quello di riuscire a dare soddisfazione ai propri creditori mediante la liquidità che conseguirà a seguito della cessione dei beni ed al realizzo delle disponibilità provenienti dalle altre attività di carattere patrimoniale, quale, ad esempio, la riscossione dei crediti.
Pertanto il giudice, al fine di verificare lo stato di insolvenza di una società in liquidazione, deve far riferimento all’adeguatezza dell’attivo destinato all’estinzione dei debiti e non alla capacità della società di "restare sul mercato", capacità che peraltro viene inibita già a seguito dell’emersione di situazioni di scioglimento che comportano l’obbligo della procedura liquidatoria, in quanto l’art. 2486, comma 1, del codice civile dispone che "Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'articolo 2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale."; di conseguenza, la società che si trova in una delle situazioni di scioglimento non deve più proseguire la normale attività ma deve solamente agire al fine di non depauperare il patrimonio, oramai destinato solo a consentire l’estinzione delle passività e non più a favorire la prosecuzione dell’impresa.
[1] Cass. N. 19141 6/9/2006; Cass. N. 21834 14/10/2009; Cass. N. 13644 30/5/2013
Inoltre, ed è la parte più rilevante della sentenza in questione, ha richiamato il principio per cui "Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, al fine dell’applicazione dell’art. 5 legge fallimentare, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo fra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte"[1].
In sostanza, la società in liquidazione ha come obiettivo quello di riuscire a dare soddisfazione ai propri creditori mediante la liquidità che conseguirà a seguito della cessione dei beni ed al realizzo delle disponibilità provenienti dalle altre attività di carattere patrimoniale, quale, ad esempio, la riscossione dei crediti.
Pertanto il giudice, al fine di verificare lo stato di insolvenza di una società in liquidazione, deve far riferimento all’adeguatezza dell’attivo destinato all’estinzione dei debiti e non alla capacità della società di "restare sul mercato", capacità che peraltro viene inibita già a seguito dell’emersione di situazioni di scioglimento che comportano l’obbligo della procedura liquidatoria, in quanto l’art. 2486, comma 1, del codice civile dispone che "Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'articolo 2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale."; di conseguenza, la società che si trova in una delle situazioni di scioglimento non deve più proseguire la normale attività ma deve solamente agire al fine di non depauperare il patrimonio, oramai destinato solo a consentire l’estinzione delle passività e non più a favorire la prosecuzione dell’impresa.
[1] Cass. N. 19141 6/9/2006; Cass. N. 21834 14/10/2009; Cass. N. 13644 30/5/2013
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