Falsa testimonianza nella causa civile
Non basta la ritrattazione in sede penale per andare esenti da pena
In tema di falsa testimonianza resa nell’ambito di un procedimento civile, deve ritenersi tardiva, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 376 commaII c.p., la ritrattazione che, trattandosi di giudizio possessorio, sia intervenuta dopo la pronuncia dell’ordinanza definitoria di tale giudizio.
Così si è espressa la Corte di Cassazione-Sezione V Penale con la sentenza n. 49072 del 25 ottobre 2017.
Il caso affrontato, evento non certo raro, riguarda una deposizione resa dall’imputato in un procedimento civile possessorio.
Siffatta dichiarazione mendace ha comportato l’avvio di un procedimento penale per falsa testimonianza ai sensi dell’art. 372 c.p.: "Chiunque, deponendo come testimone innanzi all'Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni".
Il reato appartiene alla categoria dei reati propri cioè può essere commesso da chi è chiamato a svolgere l’ufficio di testimone.
Il bene tutelato dalla norma penale è l’interesse dell’intera collettività ad una regolare amministrazione della Giustizia che, a causa di contributi mendaci, reticenti resi da chi ha il dovere e l’obbligo di riferire, viene ostacolata, distorta ed inquinata.
In primo grado l’imputato veniva assolto poiché con memoria prodotta nel corso del processo effettuava ritrattazione delle dichiarazioni mendaci rese nel giudizio civile.
Il Giudice riteneva idonea la tardiva resipiscenza ed applicava causa di non punibilità prevista ex art. 376 comma II c.p. benchè la ritrattazione delle false dichiarazioni fosse stata resa in data posteriore all’emanazione del provvedimento che ha definito il giudizio civile.
L’art. 376 comma II c.p. recita : "Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva [c.p.c. 279], anche se non irrevocabile".
Ed è proprio in virtù della disposizione di cui sopra che la Corte di Appello riformava la sentenza impugnata riconoscendo la tardività della ritrattazione resa e condannava il prevenuto alla pena di giustizia.
L’imputato proponeva ricorso per cassazione per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 376 c.p.. sostenendo che, allorquando aveva ritrattato le dichiarazioni precedentemente rese, il giudizio civile non era da considerarsi definitivo poiché esso si era arrestato nella fase sommaria cautelare senza che ad essa abbia fatto seguito la fase di merito questa sì, da considerarsi definitiva nel suo epilogo decisorio.
Da qui la tempestività della ritrattazione in considerazione del fatto che per sentenza definitiva non può che intendersi un provvedimento emesso in primo grado, in appello o in sede di rinvio, con cui viene completamente deciso il merito.
L’ordinanza possessoria scaturita dal procedimento civile sommario ove l’imputato ha reso dichiarazioni mendaci non possiede la caratteristica della definitività e giammai può acquistare qualifica di provvedimento decisorio del merito.
La Corte nel rigettare il ricorso e dunque ritenendo prive di pregio le argomentazioni della difesa ha precisato che la ritrattazione avente ad oggetto false dichiarazioni rese in ambito civile deve trovare la propria sede nel medesimo procedimento.
Insomma si ribadisce che il soggetto mendace ha la possibilità di redimersi ed andare esente da responsabilità se compie l’auspicabile ravvedimento operoso nella fase giudiziale ove egli è chiamato a svolgere il proprio ufficio di testimone azzerando o, per lo meno, riducendo grandemente, il rischio di inquinamento della fonte probatoria ed i suoi effetti distorsivi sul processo.
Tertium non datur!
Avv. Pasquale Improta
Così si è espressa la Corte di Cassazione-Sezione V Penale con la sentenza n. 49072 del 25 ottobre 2017.
Il caso affrontato, evento non certo raro, riguarda una deposizione resa dall’imputato in un procedimento civile possessorio.
Siffatta dichiarazione mendace ha comportato l’avvio di un procedimento penale per falsa testimonianza ai sensi dell’art. 372 c.p.: "Chiunque, deponendo come testimone innanzi all'Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni".
Il reato appartiene alla categoria dei reati propri cioè può essere commesso da chi è chiamato a svolgere l’ufficio di testimone.
Il bene tutelato dalla norma penale è l’interesse dell’intera collettività ad una regolare amministrazione della Giustizia che, a causa di contributi mendaci, reticenti resi da chi ha il dovere e l’obbligo di riferire, viene ostacolata, distorta ed inquinata.
In primo grado l’imputato veniva assolto poiché con memoria prodotta nel corso del processo effettuava ritrattazione delle dichiarazioni mendaci rese nel giudizio civile.
Il Giudice riteneva idonea la tardiva resipiscenza ed applicava causa di non punibilità prevista ex art. 376 comma II c.p. benchè la ritrattazione delle false dichiarazioni fosse stata resa in data posteriore all’emanazione del provvedimento che ha definito il giudizio civile.
L’art. 376 comma II c.p. recita : "Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva [c.p.c. 279], anche se non irrevocabile".
Ed è proprio in virtù della disposizione di cui sopra che la Corte di Appello riformava la sentenza impugnata riconoscendo la tardività della ritrattazione resa e condannava il prevenuto alla pena di giustizia.
L’imputato proponeva ricorso per cassazione per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 376 c.p.. sostenendo che, allorquando aveva ritrattato le dichiarazioni precedentemente rese, il giudizio civile non era da considerarsi definitivo poiché esso si era arrestato nella fase sommaria cautelare senza che ad essa abbia fatto seguito la fase di merito questa sì, da considerarsi definitiva nel suo epilogo decisorio.
Da qui la tempestività della ritrattazione in considerazione del fatto che per sentenza definitiva non può che intendersi un provvedimento emesso in primo grado, in appello o in sede di rinvio, con cui viene completamente deciso il merito.
L’ordinanza possessoria scaturita dal procedimento civile sommario ove l’imputato ha reso dichiarazioni mendaci non possiede la caratteristica della definitività e giammai può acquistare qualifica di provvedimento decisorio del merito.
La Corte nel rigettare il ricorso e dunque ritenendo prive di pregio le argomentazioni della difesa ha precisato che la ritrattazione avente ad oggetto false dichiarazioni rese in ambito civile deve trovare la propria sede nel medesimo procedimento.
Insomma si ribadisce che il soggetto mendace ha la possibilità di redimersi ed andare esente da responsabilità se compie l’auspicabile ravvedimento operoso nella fase giudiziale ove egli è chiamato a svolgere il proprio ufficio di testimone azzerando o, per lo meno, riducendo grandemente, il rischio di inquinamento della fonte probatoria ed i suoi effetti distorsivi sul processo.
Tertium non datur!
Avv. Pasquale Improta
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