Femminicidio: un pugno in faccia
Una breve riflessione sui casi più attuali di violenza alle donne
L'anno 2017 è iniziato decisamente male per le donne. In 15 giorni due sono morte e due sono state gravemente sfregiate con sostanze chimiche.
Sì, perché da qualche tempo anche la tecnica del femminicidio si sta "raffinando" e nella ricerca di annientamento estremo della donna, spesso attraverso il simbolo della bellezza, si è passati all'uso di agenti chimici per sfigurare e annientare.
Cancellare la causa dell’ansia, della rabbia, della sconfitta è l'obiettivo di questa violenza così che se "lei non esiste più, io non starò più male".
Ad uno stimolo, segue una risposta, ad una causa un effetto.
E' questo che spesso si va a cercare quando si parla di femminicidio: la causa scatenante.
Ed allora si indaga sulla figura della vittima, che forse non è stata ai patti, che forse voleva cambiare le regole della convivenza, a volte emanciparsi, oppure era troppo felice, soprattutto sempre bella, come viene ricordata dalle fotografie dei giornali.
E quando - con difficoltà - non si trovano dei motivi "razionali" che spieghino il motivo di tanta brutalità, allora si parla di raptus, facendo credere che a tutti, all'improvviso, potrebbe capitare in un qualsiasi momento della vita di compiere aberranti azioni causati da raptus....
Tra i numerosi manifesti che sintetizzano immagini di violenza contro le donne, ricordo in particolare uno di Amnesty International che rappresenta un pugno chiuso che esce minaccioso da uno sfondo buio.
Una faccia gonfia, labbra tumefatte su cui spiccano due occhi spenti. E’ lei la donna picchiata da quel pugno.
Nel manifesto non vediamo il viso ferito, vediamo il pugno che ha appena colpito: porta sulle nocche i segni dell'urto.
Il pugno vuole sconfiggere, umiliare, ferire, il pugno porta con sè la sicurezza di millenni, la certezza dei privilegi che, una volta evocati e messi in discussione, creano scompiglio, disagio le una voglia di rivincita che può diventare furia incontrollabile.
Il pugno è il modo più diretto e antico per usare violenza. E, in genere, contro la donna che avrebbe dovuto acconsentire, meglio zittirsi, ancora più, diventare trasparente.
Ma non è stato così: la donna ha manifestato un desiderio, ha proclamato la sua voglia di autonomia e questo ha scosso nel profondo le certezze irrinunciabili dell'uomo.
Una violenza, dunque, che colpisce non chi si ritiene inferiore, ma al contrario, una donna che sceglie, che decide, che pone problemi e forse anche genera conflitti. Senz'altro spaventa perché, più cresce la capacità di affermazione femminile, più appare la dipendenza e la fragilità maschile.
Alla fine, il gesto violento diventa l'estremo atto di un potere oramai moribondo, la negazione e allo stesso tempo la massima affermazione della fragilità maschile.
Questo manifesto mi ha colpito perchè non mostra il viso della donna, come troppo spesso fanno i giornali inducendo al pietismo, ma mostra la mano dell'assassino.
Quasi mai, nei femminicidi, i giornale si dilungano a raccontare la vita dell'assassino così come fanno per la vittima, di lui raramente mostrano le fotografie, la vita, il lavoro o le amicizie.
Meglio conoscere, capire e scavare nella vita della vittima, non si sa mai...
Troppe donne ancora non capiscono che è la DIGNITA' la forza che ferma quel pugno. La dignità di chi si pone come persona e non come alter ego del maschio dominatore.
Non tutti gli uomini sono così.
Ci sono quelli che si mettono dalla parte delle donne non per pietismo, né per generosità, ma per difendere un principio fondamentale: l’UGUAGLIANZA degli esseri umani di fronte alla libertà e giustizia.
Il potere della cura e dell'accudimento di mariti e figli, l'unico che ci era stato concesso a piene mani e a cui ancora oggi troppe donne faticano a rinunciare, chiede come contropartita che gli uomini vengano mantenuti in una condizione di infantilismo perenne, dove l’onnipotenza gioca un ruolo chiave.
Questi erano ruoli prestabiliti, con donne da una parte uomini dall'altra, che oggi non funzionano più, mentre smarriti e confusi cerchiamo l'un l'altro accanto, nuovi modi e ruoli per convivere, cercando il rispetto delle reciproche libertà e dignità.
Un processo culturale di cambiamento che vede le donne schierate in primo piano, se condividiamo quanto affermato da Shirin Ebadi - iraniana Nobel per la Pace, sostenitrice della non-violenza: "ogni uomo oppressivo e violento ha avuto una madre che gli ha trasmesso una cultura".
Sì, perché da qualche tempo anche la tecnica del femminicidio si sta "raffinando" e nella ricerca di annientamento estremo della donna, spesso attraverso il simbolo della bellezza, si è passati all'uso di agenti chimici per sfigurare e annientare.
Cancellare la causa dell’ansia, della rabbia, della sconfitta è l'obiettivo di questa violenza così che se "lei non esiste più, io non starò più male".
Ad uno stimolo, segue una risposta, ad una causa un effetto.
E' questo che spesso si va a cercare quando si parla di femminicidio: la causa scatenante.
Ed allora si indaga sulla figura della vittima, che forse non è stata ai patti, che forse voleva cambiare le regole della convivenza, a volte emanciparsi, oppure era troppo felice, soprattutto sempre bella, come viene ricordata dalle fotografie dei giornali.
E quando - con difficoltà - non si trovano dei motivi "razionali" che spieghino il motivo di tanta brutalità, allora si parla di raptus, facendo credere che a tutti, all'improvviso, potrebbe capitare in un qualsiasi momento della vita di compiere aberranti azioni causati da raptus....
Tra i numerosi manifesti che sintetizzano immagini di violenza contro le donne, ricordo in particolare uno di Amnesty International che rappresenta un pugno chiuso che esce minaccioso da uno sfondo buio.
Una faccia gonfia, labbra tumefatte su cui spiccano due occhi spenti. E’ lei la donna picchiata da quel pugno.
Nel manifesto non vediamo il viso ferito, vediamo il pugno che ha appena colpito: porta sulle nocche i segni dell'urto.
Il pugno vuole sconfiggere, umiliare, ferire, il pugno porta con sè la sicurezza di millenni, la certezza dei privilegi che, una volta evocati e messi in discussione, creano scompiglio, disagio le una voglia di rivincita che può diventare furia incontrollabile.
Il pugno è il modo più diretto e antico per usare violenza. E, in genere, contro la donna che avrebbe dovuto acconsentire, meglio zittirsi, ancora più, diventare trasparente.
Ma non è stato così: la donna ha manifestato un desiderio, ha proclamato la sua voglia di autonomia e questo ha scosso nel profondo le certezze irrinunciabili dell'uomo.
Una violenza, dunque, che colpisce non chi si ritiene inferiore, ma al contrario, una donna che sceglie, che decide, che pone problemi e forse anche genera conflitti. Senz'altro spaventa perché, più cresce la capacità di affermazione femminile, più appare la dipendenza e la fragilità maschile.
Alla fine, il gesto violento diventa l'estremo atto di un potere oramai moribondo, la negazione e allo stesso tempo la massima affermazione della fragilità maschile.
Questo manifesto mi ha colpito perchè non mostra il viso della donna, come troppo spesso fanno i giornali inducendo al pietismo, ma mostra la mano dell'assassino.
Quasi mai, nei femminicidi, i giornale si dilungano a raccontare la vita dell'assassino così come fanno per la vittima, di lui raramente mostrano le fotografie, la vita, il lavoro o le amicizie.
Meglio conoscere, capire e scavare nella vita della vittima, non si sa mai...
Troppe donne ancora non capiscono che è la DIGNITA' la forza che ferma quel pugno. La dignità di chi si pone come persona e non come alter ego del maschio dominatore.
Non tutti gli uomini sono così.
Ci sono quelli che si mettono dalla parte delle donne non per pietismo, né per generosità, ma per difendere un principio fondamentale: l’UGUAGLIANZA degli esseri umani di fronte alla libertà e giustizia.
Il potere della cura e dell'accudimento di mariti e figli, l'unico che ci era stato concesso a piene mani e a cui ancora oggi troppe donne faticano a rinunciare, chiede come contropartita che gli uomini vengano mantenuti in una condizione di infantilismo perenne, dove l’onnipotenza gioca un ruolo chiave.
Questi erano ruoli prestabiliti, con donne da una parte uomini dall'altra, che oggi non funzionano più, mentre smarriti e confusi cerchiamo l'un l'altro accanto, nuovi modi e ruoli per convivere, cercando il rispetto delle reciproche libertà e dignità.
Un processo culturale di cambiamento che vede le donne schierate in primo piano, se condividiamo quanto affermato da Shirin Ebadi - iraniana Nobel per la Pace, sostenitrice della non-violenza: "ogni uomo oppressivo e violento ha avuto una madre che gli ha trasmesso una cultura".
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