Fondi chiusi immobiliari


Fondi chiusi immobiliari. Un bilancio dell’esperienza a poco meno di vent’anni dal lancio del prodotto
Fondi chiusi immobiliari
A cavallo del nuovo millennio, si diffondono in Italia i fondi chiusi immobiliari, presentati ai risparmiatori quale forma di investimento alternativa, dotata di una particolare attrattiva in una fase di mercato che vedeva ridursi i tassi di interessi offerti dalle asset class tradizionali. Spesso vengono anche forniti ai sottoscrittori degli obiettivi espliciti di rendimento piuttosto consistenti. Come insegna la dottrina economica tradizionale in tali circostanze (con tassi in calo) gli investimenti immobiliari vengono maggiormente apprezzati dagli investitori per la loro capacità di generare flussi di cassa stabili nel tempo (canoni di locazione) in uno con la concreta possibilità di rivalutazione del cespite stesso.
Come noto, l’investimento immobiliare diretto comporta per il soggetto che si accinge ad effettuarlo una serie di problematiche (conformità del cespite alla normativa urbanistica, manutenzione, oneri fiscali, ricerca di un conduttore solvibile, tempi di dismissione) che rendono lo stesso a volte difficoltoso. Di qui l’idea di consentire ai risparmiatori di approcciare questo settore mediante l’acquisto di quote di attività finanziarie capaci di generare flussi di cassa nel tempo, senza dover ricorrere all’acquisto in prima persona dell’immobile. Si affidano i propri soldi ad una società di gestione che provvederà essa stessa a selezionare gli immobili, ad acquistarli e fittarli, rivendendoli poi nel tempo al fine di restituire ai sottoscrittori il proprio capitale maggiorato in relazione ai proventi ottenuti e alla rivalutazione dei cespiti. La durata di questi fondi viene stabilita in un minimo di 10 anni, potendo giungere fino a 30. In alcuni casi, viene prevista a favore dei sottoscrittori la possibilità di ricevere dei rimborsi anticipati.
Viene, poi, creato un apposito segmento di mercato di borsa ove è possibile negoziare le quote dei fondi, al fine di consentire ai quotisti di liquidare in anticipo il proprio investimento senza dover attendere la scadenza.
Pare, quindi, in fase di lancio, che esistano tutte le premesse perché gli investitori possano nel tempo ricevere un’adeguata remunerazione che giustifichi anche le commissioni di gestione, spesso abbastanza elevate, previste per questa tipologia di prodotti.
L’esperienza di questi anni ha invece dimostrato, salvo alcune eccezioni, che i quotisti che hanno voluto o vogliono liquidare in anticipo le proprie quote debbono accontentarsi di valori talvolta molto inferiori al capitale inizialmente sottoscritto, anche a causa della scarsa liquidità del mercato di riferimento. Tuttavia, è stato con l’approssimarsi delle scadenze dei primi prodotti emessi che sono emerse le maggiori criticità. Molti gestori hanno chiesto ed ottenuto il cosiddetto periodo di grazia, ossia un prolungamento della scadenza del fondo, al fine di poter effettuare una più profittevole dismissione degli immobili, ma poi, spesso complice anche la crisi economica che ha duramente colpito il settore immobiliare, si sono visti costretti a cedere in blocco gli immobili, concludendo le operazioni a prezzi anche di molto inferiori al costo di acquisto o ai valori iscritti a bilancio ed oggetto di apposita valutazione da parte di esperti indipendenti.
In buona sostanza, un investimento che era stato presentato come avente l’unico svantaggio della lunga durata, si è trasformato o si sta trasformando in un vero incubo per molti risparmiatori.
Va sì considerato che gli obblighi di profilatura e di valutazione dell’adeguatezza delle operazioni sono stati compiutamente disciplinati col recepimento della cosiddetta direttiva Mifid a partire dal 2007, ma non è errato rilevare come molti investitori non potessero affrontare un simile investimento e i rischi insiti nello stesso, pur senza ipotizzare gli scenari particolarmente avversi che si sono avuti.
Al di là dell’eventuale responsabilità di chi ha direttamente gestito il danaro dei risparmiatori, è possibile che ve ne siano anche a carico dei soggetti collocatori del prodotto, i quali debbono in ogni caso, tenere conto delle condizioni soggettive ed oggettive del risparmiatore, non essendo fungibile un investimento in un titolo di Stato o in un fondo dal contenuto orizzonte temporale con uno di lungo o lunghissimo periodo, in cui come si è detto, possono palesarsi anche scenari estremi ai danni del sottoscrittore. Nel senso di riconoscere un ristoro ai risparmiatori pesantemente danneggiati si sono mossi alcuni operatori, ma non sempre ciò avviene in misura adeguata in quanto vedersi restituito anche il solo capitale, magari a distanza di vent’anni, rappresenta una perdita implicita significativa.

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di avv. Maria Elisa Gargiulo

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