Crisi matrimoniale: fragilità del sistema coppia e divorzio


Il divorzio rappresenta un evento molto doloroso sia per i partner che per i figli che ne vivono in modo disastroso tutto il processo risentendone inevitabilmente
Crisi matrimoniale: fragilità del sistema coppia e divorzio

Il divorzio, come accadimento tipico e persino atteso come “normale” nel cosiddetto ciclo di vita familiare, continua a interrogarci. In causa, infatti, è il destino del legame, inteso come ciò che è propriamente umano in grado di distribuire bene e male, sia a livello interpersonale, sia generazionale.

Il modello di lettura, messo a punto, nel corso degli anni novanta, è quello relazionale simbolico che guiderà la trattazione della separazione e divorzio.

L’accadimento del divorzio è segno tipico della trasformazione dei legami familiari nella cultura occidentale.

I tassi di divorzialità nel decennio 2000 - 2010 sono stati in costante aumento e il rapporto separazioni/divorzi nei confronti dei matrimoni dal 1980 al 2014 ha toccato punte di aumento impensabili.

E’ come venire a sapere che il legame di coppia, che si espande nella gran parte dei casi alle relazioni familiari e generazionali, resiste al tempo, cioè alle vicissitudini che inesorabilmente lo attendono, in un caso su tre e, in alcuni casi su due. Sarebbe insomma come lanciare la moneta circa il destino del legame.

Né va meglio alle coppie che affidano il destino del loro legame a se stesse, in una forma similonnipotente, sotto il segno dell’”amore”.

Lo stesso dicasi per le coppie omosessuali, siano esse gay o lesbiche, che una volta riconosciuta la normalità istituzionale e i diritti che ne conseguono, si trovano esposte all’alto rischio del divorzio.

Emerge dall’insieme l’evidenza della particolare e specifica fragilità del legame di coppia. Esso è chiamato a transitare la vita umana distribuendo frutti generazionali. Nel tempo postmoderno e tecnologico/mediatico l’incontro di coppia si manifesta a strappi, attraverso emozioni intense, con tentativi di legami in serie e, specie per le classi più agiate, con matrimoni che si susseguono l’un l’altro, alla luce del diritto alla felicità degli individui.

Le persone operano insomma nuove scelte, aprendosi a nuove speranze o a nuovi dolori. D’altronde nel tempo tecnologico/virtuale quello della connessione istantanea con l’altro, esasperata dal bisogno di esserci in quanto visibili e comunicabili, è proprio il divorzio che permette di far luce sulla tenerezza del legame e della difficile impresa di trapassare le molteplici crisi che lo assediano e lo mettono alla prova.

Come sappiamo ci sono legami di coppia violenti fin dall’inizio, ci sono poi legami che trattengono la violenza che esplode in buona parte inattesa e sconvolgente proprio in occasione del divorzio. Rabbia, rancore, angoscia prendono il dominio. In entrambi i casi è la vita stessa a essere in gioco ed effettivamente impressionano i dati che connettono omicidi e suicidi al dolore del divorzio vissuto come fine tragica e ineluttabile del legame medesimo. Dunque, l’odio si può dire che sia in grado di distruggere i legami e la vita stessa.

Così accade che molte coppie di fronte alle difficoltà del vivere insieme si avvicinino al divorzio come via d’uscita. In realtà non esiste una via d’uscita facile dal dolore e il diritto non è affatto una soluzione automatica dei problemi.

Succede allora che molte famiglie si impoveriscano e debbano ricorrere a varie forme di aiuto materiale. Occorre tenere conto che circa i tre quarti delle situazioni di separazione/divorzio riguardano coppie con figli. Inoltre gran parte delle separazioni avvengono nel "mezzo della vita” (44 anni per le donne, 47 per gli uomini) quando cioè il legame ha avuto il suo corso e la sua consistenza.

E’, comunque, vero il legame che c’è stato in questo lasso di tempo non poco bene relazionale può essere stato distribuito e fatiche, piaceri e responsabilità sono state condivise. Il divorzio può anche essere la “cosa giusta da fare” riconoscendo però il dolore della fine, ma senza rancori mortali.

Allora occorre riconoscere il divorzio come problema familiare e come problema sociale. Si tratta in particolare di controbattere la disperazione, che prende le forme dell’isolamento e del rancore violento, con la speranza di bene che proviene dal legame, così come controbattere la sfiducia profonda nei legami con un rilancio rischioso della fiducia interpersonale e generazionale.

E i figli? Sono lì proprio in attesa che le generazioni precedenti mostrino che le prove dolorose possono essere superate e che il legame è un bene che vale la pena di vivere. Concepiamo il divorzio come ciò che può accadere e frequentemente accade ai legami di coppia – famiglia, che si può concepire come un transito – passaggio.

Non, dunque, un “processo” generico e vuoto di senso, ma propriamente un’avventura relazionale, un percorso ad ostacoli, necessariamente drammatico, che prevede colpi di scena, siano essi benefici o malefici per la storia del legame.

Nella concezione relazionale alcuni accadimenti hanno il carattere del sempiterno, ossia il divorzio è “per sempre” in quanto inerente la mente relazionale. Ciò significa che accompagna le persone nella loro vita e persino al di là di essa. E’ infatti sempre attivo, in quanto specificatamente umano, Il transfert da legame, ciò a dire che le nuove generazioni si trovano a trattare di nuovo il tema del dolore del divorzio non solo sulla base dell’esperienza vissuta, ma anche sulla base delle esperienze vissute dalle generazioni precedenti.

E’ questa l’idea dell’esistenza di un corpo familiare caratterizzato da forme transferali specifiche, come il trasmettere, il tramandare, il rinnovare (Cigoli 1992,2006,2012). Sarà opportuno chiarire che non si parla di colpe gravi e di destino infausto, ma proprio di logica dei legami. Va da sè che tale logica non riguarda solo il verificarsi del divorzio, ma anche altri tipi di dolori quali: la perdita dei genitori in età precoce, le gravi carenze di cura e alimentari, le lotte fratricide e di parentela e così via.

La famiglia custodisce beni ossia ciò che ha valore: da un lato beni generazionali, i figli, dall’altro beni immobili e mobili. Anche le povere cose sono beni, che possono portare a conflitti tragici.

In sintesi la separazione è un “percorso dell’anima” personale, intersoggettivo e generazionale; saltare uno dei tre livelli relazionali comporta un riduzionismo che limita la possibilità di aiuto / cura. A esso si connette strettamente il decidere, cioè il tagliar via qualcosa in nome di qualche bene ulteriore.

Non c’è passaggio senza accettazione del dolore della perdita e del sentirsi implicati nel dolore medesimo, cioè senza assunzione di responsabilità. Le vie facili di uscita dal dolore sono l’attribuzione di colpa all’altro (è lui, è lei, è la sua famiglia, la sua stirpe la causa di tutto), ma anche la vergogna e i tentativi di far sparire l’altro, di negarne la presenza a sé e al mondo.

Il divorzio è concepito come crisi del legame.  Esso non riguarda solo i componenti della coppia, sposata o meno, ma implica immediatamente le relazioni generazionali, vale a dire quella con i figli e con la rete di parentela, oltre a quella sociale – comunitaria.

Ne consegue che le risorse non vanno cercate solo nella coppia, che di frequente è travagliata e persa nella discordia, ma anche nella rete, compresa quella amicale e quella dei servizi a cui è richiesta un’alta professionalità clinica. Per accettare e trattare la fine che non è la fine del legame ma la fine di una vicenda storico – affettiva, è necessario tanto uno spazio di riflessione su di sé e la propria storia relazionale con i bisogni di cui è portatrice, quanto il portare in salvo qualcosa di bene.

Nessun passaggio è possibile senza un transito di qualcosa di bene. Con estrema facilità la mente umana annota torti e ingiustizie subite, mentre con tanta difficoltà ricorda il bene ricevuto. Il divorzio non è un dato di fatto che apre al dopo, ma come un transito – passaggio che abbisogna di un rituale.

La ritualità del passaggio assume forme diverse che vanno dalla mediazione familiare, ai gruppi, alla consulenza tecnica, alla psicoterapia. Ciascuna di esse ha una sua specificità. Trattandosi di un transito - passaggio viene assegnato particolare valore al tempo. Si tratta di un periodo più o meno lungo di margine che si apre alla possibilità del rilancio di fiducia, speranza, giustizia nei legami. Ridefinire i confini familiari costituisce un obiettivo di chiarificazione, un porre ordine.

Come insieme ci si lega, così insieme ci si separa. E’ qui di tutta evidenza la contraddizione. La salute psichica si misura peraltro proprio affrontando contraddizioni o, se si vuole paradossi. Ne viene che è chiamata in causa la responsabilità di ciascuno nell’affrontare la prova.

Diversamente da chi distingue tra chi afferma il proprio diritto e chi si sente di subire la volontà altrui (la differenza di posizioni nel divorzio e le conseguenti narrative), viene qui affermato un principio fondamentale del legame inerente la responsabilità di ciascuno nelle azioni del dare (offrire), ricevere, ricambiare che costituiscono il triangolo virtuoso dell’azione.

Non a caso vengono poste delle domande ai coniugi del tipo: “Come pensi di poter aiutare l’altro a mantenere qualcosa di vivo e utile relativamente al vostro legame?”.

Consideriamo la coppia come nuova nascita al legame che specie nella cultura occidentale ha assunto un valore ideale precedentemente sconosciuto. Ancora oggi la coppia è soprattutto un mediatore generazionale strettamente connesso a famiglie d’origine e clan di appartenenza.

Nella società tecno–mediatica essa è strettamente connessa alla realizzazione di sé (valore/disvalore/successo/fallimento) e al diritto di felicità individuale. La generatività passa in secondo piano e si diffonde il mito che per essere buoni genitori occorre innanzitutto essere buona coppia, la cui misura è soprattutto nelle mani della psicologia.

In caso di divorzio la regola socialmente attesa (il dover essere) è quella semplicistica e così lontana dalla realtà etico-affettiva, che “non si è più coppia, ma sempre genitori”. Ciò che viene denegato è la caratteristica propria dei legami umani caratterizzati dalla presenza del transfert. Solo un lavoro clinico di supporto può sostenere il passaggio, oppure le risorse già presenti nella coppia che divorzia, possono condurre a una distinzione tra coppia e famiglia.

Per comprendere il divorzio con i suoi significati e il senso di cui è portatore occorre rifarsi alla natura - scopo del legame. Esso espone le persone al paradosso creativo, di “fare corpo unico e riconoscere l’altro” in quanto a sé simile (natura umana) e da sé differente per genere e storia dei legami. Nella ricerca compiuta sono state ben delineate le due dimensioni specifiche del legame di coppia: la promessa e l’intreccio segreto, ciascuna delle quali comprende tre differenti variabili (Cigoli, 2014).

Non c’è legame possibile senza promessa. Essa riguarda l’impegno nei confronti del legame che è già presupposto come fragile ed esposto a varie insidie; un impegno che si colora del valore dell’altro per sé e per la relazione. La formula rituale “essere insieme nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia “esprime bene la tensione ideale di cui il legame è portatore.

Tale impegno riguarda anche le coppie che fanno affidamento ai sentimenti e alle emozioni provate. Non a caso sono più esposte al divorzio. Anche la ricerca clinica sottostima il peso e il valore della promessa che, come sostiene Hanna Arendt (1958) è un equivalente di isole a cui poter attraccare nel mare tempestoso dei legami.

L’intreccio segreto è lo scambio di bisogni, attese, desideri di cui si occupa la ricerca clinica psicoanalitica sottolineando la presenza di moventi inconsci dell’azione che possono essere concepiti come l’aspetto intrigante, inatteso e persino misterioso della trama.

Il “corpo unico” già menzionato, è dunque il risultato di un incastro esposto al “trauma della differenza” che peraltro è anche il fondamento del legame. Ne consegue che il clinico, occupandosi di divorzio e percorso di separazione non può eludere né la storia generazionale, né la storia del legame di coppia.

Siamo così partiti dall’intendere il divorzio come crisi del legame e come transizione rischiosa differenziando tra situazioni di rischio e situazioni di danno per approdare alla natura del legame medesimo nelle sue dimensioni drammatiche. La fine (divorzio) rimanda all’inizio per l’altro. E questo che propriamente orienta il lavoro clinico qualora ci si affidi al modello psicoanalico. 

E’ al suo interno che opera l’apertura all’inatteso, al sorprendente, ma anche il riconoscimento del passo falso compiuto, compresa l’illusione che ci sia una via facile di uscita dal dolore e di riapertura di fiducia e speranza nei legami.  Ci sono coppie che trovano vie d’uscita, altre che s’incistano nello stallo di coppia e altre ancora che crollano nella patologia coinvolgendo i figli.

Lo stallo di coppia fa riferimento a situazioni in cui i partner, non trovando vie d’uscita dal dolore, si bloccano su modalità ripetitive e prevedibili. Il ciclo di esplosione della rabbia e della violenza e della ricerca dell’altro e del contatto con lui/ lei ne è un esempio.

Relativamente alla variabile personale Emery (2008) ha parlato di ciclo del lutto del divorzio che comprende i sentimenti di dolore per la perdita (tristezza), di rabbia (attacco) e di bisogno di contatto (tenerezza). Se però guardiamo alla relazione in quanto tale e non solo ai singoli membri, accade di vedere come i partner occupino posizioni diverse distribuendosi le parti sul campo. Così, ad esempio, c’è chi è distaccato e denegante e chi è addolorato e rabbioso per la perdita.

Ciò conferma che se c’è una elaborazione personale del lutto, c’è anche una realtà del legame da prendere in considerazione. La verità profonda della contraddizione sta nel fatto che i legami sono, per le persone che li vivono, sempiterni. Essi cioè non sono eliminabili e annullabili; sono invece trasformabili, vale a dire che possono prendere altre e persino impreviste direzioni senza per questo annullare i precedenti. In realtà il legame disperante presenta due forme tutt’affatto che simili nei loro effetti. La prima forma è quella di non poter smettere di sperare nell’altro, nel senso che l’altro avrebbe potuto cambiare in qualche suo atteggiamento e potrebbe sempre farlo. Se così fosse non ci sarebbe il dolore della fine da affrontare.

Siamo in presenza di una forma di dipendenza che non è attribuibile a uno solo dei partner, quanto alla natura del legame. E’ sempre difficile per la mente, non attribuire ai singoli partner, ma al legame che essi hanno contratto determinate qualità . “La parte di lui e la parte di lei” ovviamente esistono, così come le differenze personali, ma esiste anche quel terzo che è rappresentato dal legame che si è venuto formando e verso il cui destino entrambi i partner hanno responsabilità. In breve, e reciprocamente, toccherebbe all’altro il lavoro di cambiamento (difetti, comportamenti, sguardo privilegiato verso le proprie origini) solo le attribuzioni negative sono reciproche.

Va evidenziato in proposito che la “nuova nascita” propria del legame di coppia entra in antagonismo con altri legami a partire da quelli con le famiglie d’origine, il lavoro, gli amici, lo sport. Tutti lottano per il privilegio; individuare la specificità di ciascuno e così il suo stesso limite, è il dilemma cruciale.

La seconda forma, più subdola e pericolosa è quella di salvare se stessi come fonte di legame.  E questo significa che per salvare se stessi si deve per forza annullare l’altro, annientarlo, farlo sparire. Qui rileviamo la presenza della sfiducia profonda relativamente al valore che le persone attribuiscono a se stesse di fare e mantenere il legame. Esse vi fanno fronte con difese rigide e primitive. Di nuovo potremmo pensare che si tratti di un problema personale di qualcuno dei partner se non fosse che anche questa è una risultanza del legame.

I legami si trasferiscono anche se c’è tra il legame familiare e quello di coppia una differenza cruciale: da un lato l’essere nato in quella famiglia, in quel tempo, in quella cultura; dall’altro avere scelto di fare coppia e famiglia. 

A tal proposito va anche considerata la funzione svolta dal caso, che può essere favorevole o sfavorevole. Speranza e disperazione sono così al centro del dramma che può volgere verso la tragedia. Ad esso si correlano i temi simbolici della fiducia/ sfiducia e quello del giusto/ ingiusto.

Quali gli effetti sui figli, cioè la generazione successiva, del legame disperante? Nel caso della prima forma i figli vivono in uno stato limbico. Essi vivono cioè, in continua sospensione, proprio come è il clima della relazione di coppia. Possono diventare partner sostitutivi di un genitore, oppure essere la generazione povera e sfortunata, quella da proteggere nei confronti delle bruttezze del vivere la vita. In ogni caso i figli vivono un clima e uno stato di sospensione.

La matrice relazionale è dunque antistorica e di blocco allo sviluppo affettivo dei figli. Nel secondo caso (dover difendere se stessi) i figli sono vissuti come fonte angosciosa di possesso. Il figlio, infatti, in quanto generato, può sempre essere una presenza aliena, cioè una presenza inquietante e pericolosa, perché rimanda all’altro di cui ci si vuole liberare per sempre. Per quanto dunque sia considerato un possesso personale è anche fonte di pericolo.

C’è anche il caso in cui i figli, respirando l’aria inquinata dalla mancanza di fiducia e speranza nei legami vi reagiscano costruendo una corazza di insensibilità, oppure vivendo uno stato di desolazione. In conclusione occorre sottolineare come la tranquillità o meno del clima familiare risulti fondamentale per i figli perché costituisce l’ambiente di crescita degli stessi e può divenire persecutorio o depressivo.

Nella cultura dell’occidente sono i genitori che hanno il compito di forgiare i figli nel bene e nel male, nonostante i figli possano usufruire di molteplici figure adulte o meno che possono costituire fonti identificatorie benefiche. Da parte loro i figli reagiscono al clima, vale a dire che giocano la loro parte e così a loro volta lo influenzano. Difatti come sono soggetti al clima familiare, allo stesso modo sono i soggetti dell’azione familiare.

Mi piacerebbe ricevere un tuo fEEDBACK sull'articolo ed essere contattata; se ne hai bisogno risponderò volentieri alle tue domande. Se poi stai vivendo un momento esistenziale di crisi di coppia e stanno affiorando dei dubbi o vuoi semplicemente fortificare il tuo rapporto di coppia,chiamami pure e potremo decidere di fare un percorso di Counseling di coppia per migliorare la fiducia, il dialogo e la comunicazione, rafforzando la tua relazione di coppia .  A presto ! Un caro saluto! 

Articolo del:


di GIULIA FRATTINI

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