Giornalisti: diffamazione, la Corte Costituzionale abolisce la reclusione
Nella giornata di ieri, una decisione che scrive una pagina nuova della nostra storia contemporanea. La Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionale la vecchia legge nr. 13, approvata dal Parlamento Italiano nel lontanissimo 1948. Norma che sanciva e puniva il presunto reato di diffamazione, commesso a mezzo stampa da parte del giornalista, per aver raccontato un determinato fatto.
Legge che è entrata, per troppi anni, in rotta di collisione con principi e “fundamenta” dettati dall’art. 21 della Costituzione che sancisce la libertà di espressione e pensiero, con la forma scritta e orale, e stabilisce che nessun organo di stampa può essere sottoposto a censura. La più brutta delle storture giuridiche che, con il trascorrere del tempo, ha rappresentato un serio pericolo per il sacrosanto dovere dei giornalisti di informare e il diritto a essere informati.
Stando a quanto dettato da questa legge, entrata in vigore 73 anni fa, il giornalista accusato e sottoposto a giudizio per presunti fatti costituenti reato di diffamazione, nel corso dell’esercizio delle sue funzioni, poteva essere punito con una pena da 1 fino a un massimo di 6 anni di reclusione.
La decisione della Consulta, però, non abolisce del tutto la pena delle detenzione in carcere. Restano punibili dal codice penale con la reclusione o, in alternativa, con una multa tutte le altre forme di diffamazione o pubblicità a danno della dignità, onore, e immagine di una persona o persona giuridica, compiute tramite l’uso dei media o di qualsiasi altro mezzo di comunicazione.
Querele, querele temerarie, minacce, intimidazioni, aggressioni psico-fisiche o, semplicemente, verbali. Tanti, troppi gli spiacevoli episodi che hanno visto, come protagonisti e vittime, colleghi-operatori dell’informazione durante lo svolgimento del loro lavoro; episodi molto spesso accaduti quando si era vicini alla scoperta di verità scottanti e scomode ai poteri.
Le vittime in questione, diverse volte, sono stati giornalisti e giornaliste freelance, giovani e meno giovani, non contrattualizzati, precari, sottopagati, senza alcuna forma di tutela. Ordine dei Giornalisti e sindacato di categoria, in passato attaccati da colleghi e colleghe che ne hanno denunciato totale assenza e assistenza, si sono battuti per far cambiare leggi, in parte vecchie ma soprattutto “acerrime nemiche” della libertà di informazione.
Con la decisione, presa ieri dai giudici costituzionali, possiamo parlare di un enorme passo in avanti verso un significativo “restyling” delle libertà individuali e professionali. Alla classe dirigente odierna il compito di preparare, redigere un nuovo testo di legge che, concretamente, metta fine a questa lunga, deleteria emergenza democratica.
Articolo del: