Giuristi di impresa e metriche organizzative
Definire il ruolo del legale interno e dotarlo di strumenti che ne facilitino l'allineamento alle esigenze gestionali, una sfida win-win per tutti
La figura del giurista di impresa è da sempre caratterizzata da definizioni al negativo: "non può patrocinare in giudizio il suo datore di lavoro"; "non gode del privilegio di riservatezza nelle comunicazioni con l’azienda"; "non è un elemento di profitto, ma un centro di costo".
Eppure, da un lato quasi nessuna impresa può prescindere dal ricorso ai servizi legali nella sua attività (anche se in molti casi - p. es. gli esercizi commerciali - tale ricorso può essere soddisfatto da un professionista esterno); dall’altro, il legale interno non solo è un manager al pari dei suoi colleghi, cui competono l’organizzazione e la gestione delle risorse umane ed economiche che gli sono affidate, ma il suo ruolo, sempre più richiesto dalla complessità normativa in cui si opera, può contribuire alla difesa del business, e dunque della ricchezza, aziendale.
Le sue funzioni sono quelle di consigliere, per garantire la tutela degli interessi e dei diritti in via contrattuale e giudiziale, di custode della legalità dei processi aziendali, quella di gestore delle risorse.
Il presupposto del suo ruolo si articola dunque:
(1) nella approfondita conoscenza delle dinamiche produttive, organizzative, decisionali e commerciali dell’impresa e del mercato, nell’identificazione del rischio e delle vulnerabilità che maggiormente necessitano di protezione;
(2) nell’allestimento di meccanismi di tutela corrispondenti al profilo della rischiosità e commisurati alle dimensioni economiche dell’impresa;
(3) nell’esercizio del suo ruolo in modo da favorire la creazione di valore a lungo temine per tutte le componenti aziendali, favorendo la diffusione del sapere, cioè della cultura della legalità, sviluppando le risorse, allestendo modalità di intervento caratterizzate da tracciabilità e trasparenza.
Questo porta ad individuare due esigenze sulle quali è arrivato il momento di riflettere: da una parte, la definizione - legislativa, o per autodisciplina da parte delle associazioni di categoria - di uno "statuto" del legale interno, che identifichi con chiarezza i contenuti minimi della posizione e dei conseguenti diritti e doveri; dall’altra l’individuazione di una metodologia di analisi che consenta, su basi scientifiche, ripetibili ed oggettive, la misura della prestazione non più sulla base di percezioni da parte di capi e colleghi, ma in relazione a quegli stessi parametri che caratterizzano il ruolo come sopra individuati: Efficacia, Efficienza, Contribuzione alla Creazione di Valore.
Lo statuto del legale interno dovrebbe prendere in considerazione la sua collocazione organizzativa, l’autonomia, la dotazione di risorse, tanto per cominciare.
La metrica della prestazione dovrebbe invece riguardare - con il supporto delle tecnologie lo si può fare a costi marginali - la capacità di identificazione del rischio legale, la conoscenza dell’impatto sul conto economico delle scelte pertinenti all’attività specifica (p. es.: l’entità degli accantonamenti a fronte del contenzioso incide sull’EBIT, per cui un eccesso di cautela significa un’assicurazione del legale a spese degli azionisti), la qualità del ricorso alla consulenza, la metodologia operativa ed organizzativa dell’ufficio.
Ne potrebbero beneficiare, in primis, gli stessi direttori legali, che avrebbero a disposizione sia una diagnostica operativa che un modello di valutazione delle prestazioni oggettivo (storicamente, la valutazione dei legali, e la fissazione dei loro obiettivi gestionali, è una delle fasi più critiche della loro gestione); gli imprenditori/capi-azienda, che potrebbero identificare l’effettivo grado di copertura dei rischi e di efficienza del legal spending; ma anche - per fare un esempio - gli operatori bancari, assicurativi e finanziari che interagiscono con l’impresa, che potrebbero avvalersi di una misurazione "certificata" del livello di copertura dei rischi della loro sovvenuta. Ed i consulenti esterni, che si troverebbero ad avere a che fare con una impresa più consapevole delle proprie esigenze, e quindi più efficiente nel formulare le richieste - cui rispondere con altrettanta efficienza. E che potrebbero magari contribuire alla revisione dei processi in modo da allineare il bisogno alla prestazione, facilitando la revisione della spesa per servizi legali ed il conseguimento di una migliore adeguatezza degli stessi - con ciò conseguendo una nuova area di intervento in cui sviluppare e consolidare la relazione con il cliente.
Parliamone!
Eppure, da un lato quasi nessuna impresa può prescindere dal ricorso ai servizi legali nella sua attività (anche se in molti casi - p. es. gli esercizi commerciali - tale ricorso può essere soddisfatto da un professionista esterno); dall’altro, il legale interno non solo è un manager al pari dei suoi colleghi, cui competono l’organizzazione e la gestione delle risorse umane ed economiche che gli sono affidate, ma il suo ruolo, sempre più richiesto dalla complessità normativa in cui si opera, può contribuire alla difesa del business, e dunque della ricchezza, aziendale.
Le sue funzioni sono quelle di consigliere, per garantire la tutela degli interessi e dei diritti in via contrattuale e giudiziale, di custode della legalità dei processi aziendali, quella di gestore delle risorse.
Il presupposto del suo ruolo si articola dunque:
(1) nella approfondita conoscenza delle dinamiche produttive, organizzative, decisionali e commerciali dell’impresa e del mercato, nell’identificazione del rischio e delle vulnerabilità che maggiormente necessitano di protezione;
(2) nell’allestimento di meccanismi di tutela corrispondenti al profilo della rischiosità e commisurati alle dimensioni economiche dell’impresa;
(3) nell’esercizio del suo ruolo in modo da favorire la creazione di valore a lungo temine per tutte le componenti aziendali, favorendo la diffusione del sapere, cioè della cultura della legalità, sviluppando le risorse, allestendo modalità di intervento caratterizzate da tracciabilità e trasparenza.
Questo porta ad individuare due esigenze sulle quali è arrivato il momento di riflettere: da una parte, la definizione - legislativa, o per autodisciplina da parte delle associazioni di categoria - di uno "statuto" del legale interno, che identifichi con chiarezza i contenuti minimi della posizione e dei conseguenti diritti e doveri; dall’altra l’individuazione di una metodologia di analisi che consenta, su basi scientifiche, ripetibili ed oggettive, la misura della prestazione non più sulla base di percezioni da parte di capi e colleghi, ma in relazione a quegli stessi parametri che caratterizzano il ruolo come sopra individuati: Efficacia, Efficienza, Contribuzione alla Creazione di Valore.
Lo statuto del legale interno dovrebbe prendere in considerazione la sua collocazione organizzativa, l’autonomia, la dotazione di risorse, tanto per cominciare.
La metrica della prestazione dovrebbe invece riguardare - con il supporto delle tecnologie lo si può fare a costi marginali - la capacità di identificazione del rischio legale, la conoscenza dell’impatto sul conto economico delle scelte pertinenti all’attività specifica (p. es.: l’entità degli accantonamenti a fronte del contenzioso incide sull’EBIT, per cui un eccesso di cautela significa un’assicurazione del legale a spese degli azionisti), la qualità del ricorso alla consulenza, la metodologia operativa ed organizzativa dell’ufficio.
Ne potrebbero beneficiare, in primis, gli stessi direttori legali, che avrebbero a disposizione sia una diagnostica operativa che un modello di valutazione delle prestazioni oggettivo (storicamente, la valutazione dei legali, e la fissazione dei loro obiettivi gestionali, è una delle fasi più critiche della loro gestione); gli imprenditori/capi-azienda, che potrebbero identificare l’effettivo grado di copertura dei rischi e di efficienza del legal spending; ma anche - per fare un esempio - gli operatori bancari, assicurativi e finanziari che interagiscono con l’impresa, che potrebbero avvalersi di una misurazione "certificata" del livello di copertura dei rischi della loro sovvenuta. Ed i consulenti esterni, che si troverebbero ad avere a che fare con una impresa più consapevole delle proprie esigenze, e quindi più efficiente nel formulare le richieste - cui rispondere con altrettanta efficienza. E che potrebbero magari contribuire alla revisione dei processi in modo da allineare il bisogno alla prestazione, facilitando la revisione della spesa per servizi legali ed il conseguimento di una migliore adeguatezza degli stessi - con ciò conseguendo una nuova area di intervento in cui sviluppare e consolidare la relazione con il cliente.
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