Gli atti di frode


Gli atti di frode, la meritevolezza ed il principio di diritto
Gli atti di frode
Con una recentissima sentenza [1] la Cassazione ha posto, a mio parere definitivamente, una pietra tombale sulla questione degli atti integranti il concetto di "frode ai creditori" ( ex art. 173 L.F. ), tale, quindi, da determinare l’arresto della procedura[2].

Riassumiamo i fatti che hanno dato luogo alla vicenda giudiziaria. Una impresa dichiarata fallita impugnò davanti ai Supremi Giudici anche il decreto di rigetto dell’omologazione di un concordato preventivo in quanto, secondo la ricorrente, "gli atti di frode" commessi anteriormente [3] al deposito del ricorso, avrebbero perso la loro rilevanza decettiva, in quanto, ancorchè "scoperti" dal Commissario nella relazione ex art. 172 L.F, i creditori ne sarebbero stati comunque informati, tale quindi che non sarebbe stato alterato il c.d. "consenso informato" che sta alla base delle operazioni di voto a cui sono chiamati i creditori in sede di adunanza.

La S.C. con dovizia di argomentazioni ha rigettato il ricorso che si fondava essenzialmente sulla ritenuta natura contrattuale del concordato preventivo secondo i seguenti postulati: "Dalla premessa sistematica che vorrebbe assegnare natura contrattuale al concordato preventivo riformato con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n.5, e successive modifiche, non è dato ricavare la conclusione della irrilevanza della verifica officiosa di eventuali atti fraudolenti, se commessi anteriormente all’ammissione alla procedura, volta che i creditori ne siano stati comunque informati".
In effetti, la Cassazione richiamando i principi espressi con la nota sentenza delle S.U. la n.1521 del 2013 sulle "evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici" presenti nella procedura, ha ritenuto che "non è dunque ad impostazioni dogmatiche di carattere generale che occorre aver riguardo bensì alla concreta disciplina normativa di volta in volta applicabile;" ed è innegabile che la revoca dell’ammissione al concordato, per avere il debitore occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode - revoca contemplata dall’art. 173 della L.F. in modo sostanzialmente invariato rispetto al regime anteriore alla riforma - già per il carattere ufficioso da cui è connotata, non appare riducibile ad una dialettica di tipo meramente negoziale, ma pienamente invece si inscrive nel novero degli interventi del giudice.
Ed anche se i creditori avessero espresso un voto positivo nulla esclude in radice l’attivazione dei poteri officiosi di arresto della procedura da parte del Tribunale in quanto scrive la Corte: "quel che rileva è il comportamento fraudolento, non l’effettiva consumazione della frode" [4]. Secondo la Corte - qui il passaggio è veramente importante - siffatta conclusione risulta oggi avvalorata dal fatto che il potere di arresto della procedura è attivabile dal Tribunale "sin dalla fase ancora embrionale della procedura", alludendo ovviamente all’istituto del concordato con riserva così come novellato dal c.d. " decreto sviluppo" del giugno dello scorso anno [5].

Ha poi enunciato la Corte il seguente principio di diritto: "l’accertamento ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma dell’art. 173 della legge fallimentare, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e quindi anche nell’ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento".

La Corte poi ha anche dato una risposta alla riemersione del concetto di meritevolezza a cui pare alludere l’esposizione del principio di diritto enunciato, ma secondo i Giudici di Piazza Cavour la meritevolezza nel previgente sistema era nozione ben più ampia "dell’assenza di atti di frode" [6]. Vedremo se ed in che termini i principi espressi dalla sentenza sopra richiamata saranno scalfiti dalle successive pronunce e come reagirà la dottrina; sta di fatto però che allo stato i principi espressi ci sembrano davvero inoppugnabili. Qui il discorso potrebbe dilungarsi a dismisura allargando l’orizzonte sul concetto di etica che dovrebbe caratterizzare l’attività di impresa, in quanto se è vero che l’applicazione dei principi espressi dalla sentenza n. 14552 frenerebbe di fatto l’accesso alla procedura di concordato preventivo, dall’altro l’applicazione rigorosa dei predetti principi sembrerebbe far riemergere marcatamente il vecchio dogma premiale - anche se la Cassazione ha ritenuto di ben distinguere la meritevolezza dagli atti di frode - che l’accesso alla procedura è consentito solo all’imprenditore onesto, ma sfortunato.

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di Avv. Alessandro Rimato

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