Gli eroi del COVID-19 sono eroi tutti i giorni
Più di due anni sono passati dal febbraio 2020 quando ci ritrovammo in zona rossa, gli ospedali saturi, in una situazione mai affrontata prima. Li chiamavano eroi, la politica prometteva che i loro sforzi sarebbero stati ricordati, che i loro stipendi, tra i più bassi e più tassati d'Europa, avrebbero avuto gli aumenti. Qualcuno, in piena pandemia, ha riconosciuto che i tagli alla sanità hanno portato il sistema sanitario al collasso, e la situazione è perdurata per due anni. Poi è arrivata la guerra in Ucraina, il Covid è stato relegato a qualche trafiletto in quinta pagina, o nei sottotitoli nei vari telegiornali, il costo della vita, già caro prima della pandemia, è aumentato di oltre il 50%, come è in crescita l'aumento del numero di cittadini e famiglie sotto la soglia di povertà.
Oggi, in questo quadro disastroso, per quello che riguarda la sanità Italiana, caratterizzato da conti in rosso, tagli agli stipendi, carenza di personale, siamo peggiorati rispetto a prima del Covid, con ulteriori tagli al comparto per raggiungere il 2% da destinare alle spese di riarmo: armi per offendere, uccidere, a discapito della sanità, che cura e guarisce.
Ma vorrei ricordare che il personale sanitario (medici, infermieri, operatori socio assistenziali, ecc.), è formato da eroi che sono tali ogni qualvolta svolgono la loro attività.
Il lavoro in ospedale, nei laboratori di analisi e nei centri di ricerca espone gli operatori sanitari ad una notevole varietà di rischi, con effetti negativi per la salute, sia dal punto di vista infortunistico, sia sotto il profilo delle conseguenze a lungo termine. Mentre sono presenti prove sufficienti sugli effetti dannosi dell’esposizione ai singoli rischi, rimangono meno note le conseguenze delle esposizioni a rischi multipli. Inoltre gli strumenti di investigazione epidemiologica e, soprattutto, le banche dati utilizzate, non permettono di cogliere differenze di rischio fra sottopopolazioni di lavoratori della sanità, in funzione della reale esposizione ai diversi rischi e del tempo di esposizione, vale a dire alla mansione effettivamente svolta (e oscura ai database). Nonostante queste difficoltà, la normativa che tutela la salute nei luoghi di lavoro, in attuazione delle direttive europee, se applicata, parrebbe in grado, di assicurare un’adeguata protezione ai singoli lavoratori, perché impone la valutazione di tutti i rischi e l’adozione delle misure di protezione più appropriate.
Sono noti i ritardi e le difficoltà di applicazione di tale normativa: scarsa propensione per l’organizzazione dei sistemi di prevenzione e la partecipazione alle attività per la sicurezza, lacune culturali, controllo e vigilanza insufficiente, elevato grado di invecchiamento delle strutture e delle attrezzature sanitarie, complessità delle attività assistenziali, difficile reperimento di fondi per gli adeguamenti strutturali.
Per alcuni rischi la letteratura fornisce buone prove sull’efficacia delle misure di protezione dei lavoratori della sanità, grazie all’applicazione di specifiche norme di legge o all’adozione di linee guida sulle buone pratiche. In altri settori occupazionali numerosi progetti europei (fra i quali il progetto italiano sulla tratta dell’alta velocità Firenze - Bologna) hanno dimostrato che è possibile ridurre gli eventi infortunistici, ma questi progetti non sono stati applicati al settore sanitario. In ogni caso, dopo avere individuato i problemi e attuato i programmi, il fattore determinante il miglioramento è sempre risultato essere un efficace sistema di controllo.
Le attività svolte negli ospedali e nei centri di ricerca ben si presterebbero ad essere oggetto di intervento, con progetti che si prefiggano la contrazione degli infortuni e delle conseguenze per la salute, all’interno di modelli di studio sperimentali. Se la prevenzione è efficace, l’evidence-based prevention non è un neologismo svuotato di contenuti, ma rappresenta una metodologia di prevenzione effettivamente basata sulle prove e sulla trasferibilità del metodo, come accade in altre discipline.
Questi progetti potrebbero avere le caratteristiche di vere e proprie ricerche-intervento, che consentono di fare ricerca nei servizi sanitari, con poca spesa, nel momento stesso in cui si sviluppa un concreto programma di intervento. Si tratta però di progetti che richiedono sforzi organizzativi importanti e, soprattutto quella base di consenso che attualmente pare soffocata dai comportamenti difensivi.
Ricerche di tipo descrittivo, più accessibili con risorse limitate, possono essere suggerite dall’analisi della letteratura, che documenta l’esistenza di una ripetitività delle problematiche, dal livello sovranazionale a quello locale, convergente su un punto preciso: la carenza di partecipazione ai processi della prevenzione da parte di tutti gli attori aziendali (dal Datore di lavoro ai lavoratori).
Dal punto di vista delle rappresentanze per la sicurezza, deve essere affrontato il problema della scarsa partecipazione dei RLS ai processi della sicurezza delle aziende sanitarie. Il ruolo partecipativo attribuito ai RLS dal D.Lgs. 626/94 ora recepito dal D.L.gs. 09/04/2008 n. 81 è un punto fondamentale delle relazioni aziendali.
La partecipazione ai processi della sicurezza va visto come valore positivo; invece nella sanità (come nella scuola, nei media, nella società civile) la sicurezza nel lavoro ha così scarsa considerazione da apparire come un disvalore.
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