Gli errori di gestione del passaggio generazionale


Quali sono gli errori più frequenti che si commettono in questa fase così delicata? Perché affidarsi a un professionista in un momento così delicato
Gli errori di gestione del passaggio generazionale
È noto come due PMI su tre non sopravvivano al primo passaggio generazionale e meno di una su dieci sopravviva al secondo.
Io non so con certezza quali ne siano le ragioni, ma posso riportare quelli che, nella mia esperienza di Coach, ho visto essere gli errori più frequenti che vengono commessi in questa delicata fase della vita dell’impresa. Per semplicità, mi riferirò alla situazione "base" in cui un Padre lascia l’azienda al Figlio (il maschile è una convenzione) mostrandola dal punto di vista di entrambi.
1) L’azienda non è di famiglia: "è la famiglia". Per il Padre, l’azienda è stata costruita di pari passo con la famiglia e sono una parte dell'altra. Questa visione rende l’impresa un mondo che sviluppa un sistema immunitario che favorisce la crescita solo di chi è parte organica della famiglia stessa. Dal punto di vista del figlio invece, l’impresa "appartiene" alla famiglia e viene vissuta come un’entità parallela, ma distinta. Il figlio cresce nella condizione che prima o poi sarà chiamato a decidere se farne parte o meno.
2) La capacità imprenditoriale NON ha carattere ereditario (1). Per il Padre fare impresa è naturale. È per questo che vi ha dedicato una vita. Quindi gli risulta difficile concepire che questa attitudine non sia innata nelle altre persone, soprattutto nel Figlio. Il Figlio vede invece il Padre come figura genitoriale anche nella sua attitudine imprenditoriale. Come ogni buon figlio vive l’ambivalenza - qualora decidesse di entrare in azienda - tra l’imitare il genitore e affrancarsene, atteggiamento che, come nella vita, porta al maggior numero di conflitti.
3) La capacità imprenditoriale NON ha carattere ereditario (2). In molti casi è il Figlio stesso a dare per scontate le proprie capacità imprenditoriali, solo per il fatto di essere cresciuto con un’azienda di famiglia. Ne deriva un atteggiamento arrogante, poco incline all’apprendimento e mosso da una ricerca ossessiva dell’accettazione da parte dei dipendenti. Il Padre in questo caso fatica a mantenere l’equilibrio tra il bene della famiglia, e la conseguente protezione del figlio, e il bene dell’impresa che richiederebbe invece un suo intervento su certi atteggiamenti o decisioni del Figlio.
4) "Un giorno tutto questo sarà tuo: capito?". In un naturale istinto di continuità, il Padre dà per scontato che l’azienda un giorno passerà al Figlio. Questo, psicologicamente, gli garantisce una sopravvivenza nel tempo. Tuttavia, raramente si chiede cosa il Figlio voglia veramente e se abbia l’attitudine all’imprenditoria che possa permettergli di avere successo. Il Figlio dal canto suo sente la pressione di prendere in mano le redini, vivendo ogni decisione diversa da questa come un tradimento nei confronti della famiglia.
5) Non c’è una pianificazione del passaggio. Anche supponendo che il Figlio sia mosso da una genuina volontà di guidare il futuro dell’impresa, è molto raro assistere ad una pianificazione del passaggio di consegne. Normalmente il Padre si limita a "inglobare" il figlio nell’organizzazione iniziando un processo che non ha delle fasi predefinite né, tantomeno, una data di termine. Il Figlio si trova perciò in un perenne limbo in cui deve sempre imparare qualcosa, senza mai vederne la fine. Questo genera frustrazione e demotivazione.
6) Conflitto culturale. Mai come oggi il solco culturale tra i Padri e i Figli è stato così ampio. Il Padre è nato analogico, in un mondo che aveva una cultura del lavoro che viene dalla fabbrica, nel senso più tradizionalista del termine. Il Figlio è nativo digitale (o quasi) e ha un retroterra culturale completamente differente, più rapido, dove tutto è disponibile "in punta di click", ma anche meno incline alla pazienza e al lavoro ripetitivo. Due mondi che faticano a comunicare oggi più che mai.
7) Adesso basta! Il Padre non lascia la sua posizione. Con la scusa che "il figlio deve ancora imparare", non si ritira mai davvero. Questo perché, in realtà, non sa cosa fare fuori dall’azienda. Per decenni tutto il suo mondo professionale e relazionale si è identificato con l’impresa e si sente privato all’improvviso del suo ruolo sociale, del suo posto nel mondo, che si è creato in tanti anni di duro lavoro. Il Figlio dal canto suo non riesce a liberarsi mai del Padre, faticando ad esprimersi e non sentendosi mai del tutto pronto a dare la sua impronta personale al futuro.

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di Luca Berni

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