Gli inganni del Legislatore
Leggi: errori involontari o inganni creati ad arte?
Sono anni che si sente parlare di un non meglio identificato Testo Unico delle Leggi in campo fiscale, ma ancora nessun Parlamento è stato in grado di vararlo, né alcun Governo ha mai davvero proposto tale vera unica semplificazione. Anzi, in verità, più si va avanti e più le disposizioni si ingarbugliano, diventando di pressoché impossibile attuazione.
Nell’applicare le leggi (specie quelle tributarie), in effetti, gli addetti ai lavori si trovano spesso ad avere a che fare con norme tecnicamente errate.
Gli sbagli, più o meno evidenti, sono di vario tipo: si va da disposizioni il cui tenore letterale presenta una grammatica improponibile, a provvedimenti di difficile interpretazione, a previsioni che abrogano espressamente certi articoli ma si "dimenticano" di altri comunque connessi, fino a veri e propri trucchi escogitati esclusivamente per ingannare i cittadini, onde conservare (e, magari, accrescere) il proprio elettorato.
Forniamone alcuni esempi recenti.
1. Appartiene alla prima categoria, la recente normativa concernente la presunzione di non estinzione per un quinquennio nei confronti dell’Erario, delle società cancellate; come noto, il Legislatore non ha ottemperato a quegli indispensabili criteri sintattico-grammaticali che la lingua italiana presupporrebbe; tant’è vero che, non noi, ma la Cassazione ha prontamente provveduto a bacchettare il malcapitato Governo, precisando, in sede di motivazioni della pronuncia di rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, che: "Nello scrivere le norme, bisognerebbe almeno rispettare le regole della grammatica".
2. Tra i provvedimenti di difficile interpretazione (per usare un eufemismo), rientrano a pieno titolo, di certo, reverse charge allargato e split payment, per i quali, a distanza di quattro mesi dalla loro ufficiale entrata in vigore, e nonostante le diverse (non a caso, contraddittorie) circolari intervenute, ancora gli operatori faticano a fornire pronte e sicure risposte ai propri clienti, siano essi pubblici o privati.
3. Quale esempio tipico, invece, della terza categoria, ci sovviene la contestatissima disposizione che ha annullato l’obbligo del collegio sindacale nelle SRL: senza voler citare il grossolano errore commesso, talché, SPA con capitale sociale di gran lunga inferiore permangono soggette all’obbligo, mentre ciò non accade nelle aziende assai più grandi, per il solo fatto di essere SRL (o di essersi prontamente trasformate in SRL, pur di evitare detto necessario controllo esterno, indispensabile forma di garanzia per i terzi), preme rammentare che il decreto in questione interveniva su uno specifico articolo del Codice Civile, dimenticandosi completamente dei richiami esistenti con gli altri.
4. Abbiamo, infine, la quarta categoria, quella più ipocrita e ambigua, dove il confine tra involontarietà e inganno scientemente preordinato, è davvero sottile e impossibile da dimostrare, ma le conseguenze, ahinoi, restano identiche: l’ultimo eclatante esempio è quello che ha costretto il Ministro del lavoro Poletti a un pubblico mea culpa, ossia il codicillo inserito di soppiatto per garantire la copertura finanziaria (richiesta dalla Ragioneria Generale dello Stato), all’esonero contributivo triennale; in base a questa iniqua e irragionevole previsione, da un lato, il Governo concede un esonero a taluni contribuenti, dall’altro, aumenta i contributi degli altri onde poter garantire l’esborso che lo Stato dovrà sopportare col primo.
Gli esempi sarebbero ancora tanti e numerosi: come non ricordare la mastodontica ingiustizia perpetrata con la mancata deduzione dell’IRAP a carico dei datori di lavoro che hanno in forza dipendenti a tempo determinato? Ma siccome non vogliamo far "torto" ad alcuna classe di contribuenti, abbiamo preferito limitarci a citarne uno per tipo. Così, non rischiamo di dimenticarne qualcuno.
Verrebbe, a questo punto, immediato pensare di cavarsela col solito commento che, pur non giustificando, comprende gli sbagli del Legislatore, in quanto, per sua natura, ignorante. Seppure, non analogamente, la stessa scusante non può - giustamente - essere addotta a propria discolpa dal cittadino, per il quale vale l’antico broccardo: ignorantia legis non excusat! Sarebbe troppo comodo.
Giusto! Ma, a noi, francamente, sembra altrettanto comodo scusare il Legislatore sulla base della sua connaturata ignoranza. I motivi sono principalmente due:
I) Atteso che, a nessuno (come suol dirsi), lo ha "prescritto il medico", se si è troppo ignoranti per legiferare, si lascia fare a chi sa fare;
II) Siamo davvero certi che alcune di queste disposizioni siano tali in quanto dovute a mera ignoranza e non piuttosto a subdola furbizia?
Nell’applicare le leggi (specie quelle tributarie), in effetti, gli addetti ai lavori si trovano spesso ad avere a che fare con norme tecnicamente errate.
Gli sbagli, più o meno evidenti, sono di vario tipo: si va da disposizioni il cui tenore letterale presenta una grammatica improponibile, a provvedimenti di difficile interpretazione, a previsioni che abrogano espressamente certi articoli ma si "dimenticano" di altri comunque connessi, fino a veri e propri trucchi escogitati esclusivamente per ingannare i cittadini, onde conservare (e, magari, accrescere) il proprio elettorato.
Forniamone alcuni esempi recenti.
1. Appartiene alla prima categoria, la recente normativa concernente la presunzione di non estinzione per un quinquennio nei confronti dell’Erario, delle società cancellate; come noto, il Legislatore non ha ottemperato a quegli indispensabili criteri sintattico-grammaticali che la lingua italiana presupporrebbe; tant’è vero che, non noi, ma la Cassazione ha prontamente provveduto a bacchettare il malcapitato Governo, precisando, in sede di motivazioni della pronuncia di rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, che: "Nello scrivere le norme, bisognerebbe almeno rispettare le regole della grammatica".
2. Tra i provvedimenti di difficile interpretazione (per usare un eufemismo), rientrano a pieno titolo, di certo, reverse charge allargato e split payment, per i quali, a distanza di quattro mesi dalla loro ufficiale entrata in vigore, e nonostante le diverse (non a caso, contraddittorie) circolari intervenute, ancora gli operatori faticano a fornire pronte e sicure risposte ai propri clienti, siano essi pubblici o privati.
3. Quale esempio tipico, invece, della terza categoria, ci sovviene la contestatissima disposizione che ha annullato l’obbligo del collegio sindacale nelle SRL: senza voler citare il grossolano errore commesso, talché, SPA con capitale sociale di gran lunga inferiore permangono soggette all’obbligo, mentre ciò non accade nelle aziende assai più grandi, per il solo fatto di essere SRL (o di essersi prontamente trasformate in SRL, pur di evitare detto necessario controllo esterno, indispensabile forma di garanzia per i terzi), preme rammentare che il decreto in questione interveniva su uno specifico articolo del Codice Civile, dimenticandosi completamente dei richiami esistenti con gli altri.
4. Abbiamo, infine, la quarta categoria, quella più ipocrita e ambigua, dove il confine tra involontarietà e inganno scientemente preordinato, è davvero sottile e impossibile da dimostrare, ma le conseguenze, ahinoi, restano identiche: l’ultimo eclatante esempio è quello che ha costretto il Ministro del lavoro Poletti a un pubblico mea culpa, ossia il codicillo inserito di soppiatto per garantire la copertura finanziaria (richiesta dalla Ragioneria Generale dello Stato), all’esonero contributivo triennale; in base a questa iniqua e irragionevole previsione, da un lato, il Governo concede un esonero a taluni contribuenti, dall’altro, aumenta i contributi degli altri onde poter garantire l’esborso che lo Stato dovrà sopportare col primo.
Gli esempi sarebbero ancora tanti e numerosi: come non ricordare la mastodontica ingiustizia perpetrata con la mancata deduzione dell’IRAP a carico dei datori di lavoro che hanno in forza dipendenti a tempo determinato? Ma siccome non vogliamo far "torto" ad alcuna classe di contribuenti, abbiamo preferito limitarci a citarne uno per tipo. Così, non rischiamo di dimenticarne qualcuno.
Verrebbe, a questo punto, immediato pensare di cavarsela col solito commento che, pur non giustificando, comprende gli sbagli del Legislatore, in quanto, per sua natura, ignorante. Seppure, non analogamente, la stessa scusante non può - giustamente - essere addotta a propria discolpa dal cittadino, per il quale vale l’antico broccardo: ignorantia legis non excusat! Sarebbe troppo comodo.
Giusto! Ma, a noi, francamente, sembra altrettanto comodo scusare il Legislatore sulla base della sua connaturata ignoranza. I motivi sono principalmente due:
I) Atteso che, a nessuno (come suol dirsi), lo ha "prescritto il medico", se si è troppo ignoranti per legiferare, si lascia fare a chi sa fare;
II) Siamo davvero certi che alcune di queste disposizioni siano tali in quanto dovute a mera ignoranza e non piuttosto a subdola furbizia?
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