Gli strumenti di tutela del figlio naturale


L'azione di riconoscimento giudiziale della paternità consente di attivare anche domande risarcitorie e riparatorie per il danno illecito endofamiliare
Gli strumenti di tutela del figlio naturale

L’azione di riconoscimento giudiziale di paternità può essere proposta senza limiti di tempo dal figlio maggiorenne o dalla madre del medesimo; l’imprescrittibilità di tale azione discende dalla tutela rafforzata al diritto al nome, diritto personalissimo e di primario rango costituzionale.

Per il tramite dell’azione di riconoscimento giudiziale è possibile domandare sia la condanna al pagamento di somme per mantenimento pregresso e attuale, sia la condanna al risarcimento del danno da privazione genitoriale.

Con la sentenza n. 3079/2015, la Corte di Cassazione ha sancito che “il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.

Sussiste, dunque, secondo la Suprema Corte un automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 c.c., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione, della quale si abbia consapevolezza, non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore che, a ben vedere, non si limitano all’assolvimento dell’obbligo di mantenimento, ma si estendono anche all’obbligo di garantire al figlio la condivisione di una relazione filiale  sia nella sfera privata sia nella sfera sociale.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza oggi prevalenti, la tutela della persona non può ammettere una limitazione e/o sospensione all’interno di quello che è il luogo principale di espressione della personalità di ciascun individuo.

I diritti inviolabili della persona rimangono tali anche nell’ambito della famiglia, “cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità aquiliana”.

La condotta inadempiente assume dunque un duplice rilievo: per l’applicazione delle specifiche regole previste in materia di famiglia e per l’applicazione delle regole sulla responsabilità aquiliana.

Sulla base di tale rinnovato sentimento, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato la nozione di illecito endofamiliare, con la quale si tende ad accorpare tutte le ipotesi in cui all’interno di relazioni familiari si sia consumata una lesione ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, in conseguenza di una violazione dei doveri familiari.

La domanda risarcitoria ricomprende non tanto un pregiudizio ex se quanto un danno da quantificarsi necessariamente in ragione sia dalla mancata percezione di quanto dovuto a titolo di mantenimento, sia del ristoro derivante dalla perdita di chance per la privazione della prospettiva di inserimento sociale e lavorativo adeguato alla classe socio economica di appartenenza del genitore inadempiente; il risarcimento non assume funzione punitiva o sanzionatoria, ma risponde all’esigenza di assicurare al danneggiato un’adeguata riparazione come utilità sostitutiva.

Presupposto fondamentale della domanda risarcitoria è la consapevolezza dello status genitoriale, ossia del concepimento in capo dal genitore inadempiente.

Sul punto la giurisprudenza di merito ha chiarito che la consapevolezza non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si può comporre di una serie d’indizi univoci, generati dalla certa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento. Sarà ascrivibile il pregiudizio conseguente, dunque, al genitore che avendo avuto la piena possibilità di conoscere e verificare la probabilità della propria paternità ne abbia ignorati tutti i segnali, negando in tal modo al minore la propria cura e assistenza.

La quantificazione del danno da illecito endofamiliare ex art 2059 c.c. può avvenire in forza di meccanismi presuntivi che devono essere motivati dall’A.G.; il parametro principale di riferimento è il danno da perdita parentale, liquidato in base alle relative tabelle del Tribunale di Milano. (Cass., sez. I civ., 22 luglio 2014, n. 16657); il danno dovrà essere quantitativamente attenuato in considerazione del fatto che la perdita parentale nell’ipotesi di illecito endofamiliare può non essere irreversibile.

Una giurisprudenza di merito minoritaria afferma che l’inerzia del figlio nel proporre l’azione incida sulla quantificazione del danno che andrebbe limitato al periodo di vita decorso sino ai diciotto anni di età del figlio; in realtà tale orientamento contrasta con quello di legittimità che afferma che in tema di azione volta al riconoscimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., esercitabile anche nell'ambito dell'azione per dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, va escluso il concorso colposo nella produzione del danno, ex art. 1227 cod. civ., in ipotesi di inerzia dei figli in ordine al momento da essi prescelto per l'iniziativa giudiziale, in quanto liberamente e legittimamente determinabile da parte dei titolari del diritto, oltre che del tutto ininfluente rispetto alla configurazione e determinazione del danno non patrimoniale riconosciuto.
(sul punto Cass. Civ., Sez. I, 22 novembre 2013 n. 26205).

Nella quantificazione del risarcimento l’interprete la valutazione della gravità della condotta  discenderà dalla dimensione temporale, ossia il tempo per cui si è protratta la lesione esistenziale e morale, dalle condizioni psico-fisiche del soggetto leso, dall'arricchimento, derivante dal mancato adempimento degli oneri genitoriali, conseguito dal danneggiante.

In conclusione, l’orientamento giurisprudenziale riconosce piena tutela non solo al diritto al “cognome”, ma anche al risarcimento dell’illecito endofamiliare e di conseguenza consente il ristoro dei danni derivanti dalla lesione ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, subiti a causa di una violazione dei doveri genitoriali.

Tale impostazione appare coerente con i valori costituzionali di cui agli artt 2 e 30 Cost, affermati anche dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché dalla Convenzione di New York del 20.11.1989 sui diritti del fanciullo.

 

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di avv. Claudia Di Brigida

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