Guida al funzionamento dei PIR


Decollano finalmente anche in Italia i Piani Individuali di Risparmio
Guida al funzionamento dei PIR
A partire dal 1° gennaio 2017, una grande novità, in tema di risparmio, arriva dalla legge di Bilancio che ammette l’accantonamento annuo fino a 30mila euro (con un minimo di 500 euro) fino ad un massimo di 150mila euro per contribuente in un veicolo finanziario denominato Pir (Piano Individuale di Risparmio) che consentirà di godere, a patto di conservare l’investimento per almeno cinque anni, di un considerevole beneficio fiscale: la completa esenzione dalle tasse sul capital gain (che variano dal 12,50% per i titoli di stato e White List fino al 26% per tutti i restanti strumenti finanziari). Sarà ammesso l’investimento rateale alla stregua di quanto avviene con i piani di accumulo (pac) molto diffusi tra i risparmiatori.
Ogni piano di risparmio sarà nominativo e quindi potrà essere associato ad un unico codice fiscale, in altri termini, potrà esserne aperto uno per ogni membro della famiglia (minorenni esclusi, almeno per ora).
La stampa ha enfatizzato soprattutto il beneficio fiscale di questa tipologia di investimento; occorre rimarcare che il vantaggio per il risparmiatore non si riduce solo alla detassazione del capital gain: il piano individuale, infatti, non potrà essere colpito da imposte di successione e donazione, mentre rimarrà comunque soggetto alla minipatrimonialina del 2 per mille cui sono sottoposti quasi tutti i prodotti di investimento. A livello teorico i Pir potranno assumere la veste di fondi comuni di investimento, gestioni patrimoniali, contratti assicurativi vita, depositi amministrati purchè ogni strumento di investimento rispetti i medesimi vincoli. Il legislatore ha disposto che per definirsi tali i Pir dovranno necessariamente investire nell’economia reale, nei settori produttivi nazionali, sia azionari sia obbligazionari, purchè emessi da imprese italiane di medie e piccole dimensioni.
I vincoli nella composizione del portafoglio prevedono nello specifico che il 70% del valore complessivo del medesimo debba essere investito in azioni di società quotate e non e in obbligazioni emesse da imprese residenti in Italia o in stati membri UE o aderenti allo Spazio economico europeo purchè con attività stabile in Italia. Circa un quinto del portafoglio (il 30% del 70% sopra definito) dovrà essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib di Borsa Italiana o altri equivalenti. Il restante 30% del portafoglio potrà, per contro, essere investito liberamente in qualsiasi strumento finanziario (compresi depositi e conti correnti). Si mantiene il divieto per il Pir di investire più del 10% in strumenti finanziari emessi da un medesimo emittente per evitare eccessivi rischi di concentrazione. Insomma, uno strumento utile più che mai per rivitalizzare il nostro settore produttivo da un lato e per educare al risparmio di lungo periodo dall’altro.
Unico caveat: mantenere una corretta diversificazione di portafoglio. Seneca era solito dire che "il veleno sta nella dose". Non vorremmo correre il rischio che in nome dell’innegabile risparmio fiscale qualche piccolo risparmiatore possa concentrare il grosso delle proprie disponibilità finanziarie unicamente su questo particolare strumento sacrificando il giusto bilanciamento delle varie asset class nel proprio portafoglio. L’errore potrebbe costare caro.

Carlo F.F. Galbiati - Consulente finanziario consulenza finanziaria@carlogalbiati.it

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