I buoni propositi del nuovo anno, cosa ci impedisce di cambiare?
Tutti gli anni, tra dicembre e gennaio, ci animiamo di buoni propositi, iniziamo a dirci: non farò più questo, quello, quell’altro, facendo una lunga lista.
Poche volte ci soffermiamo accuratamente su ciò che vorremmo realmente fare e realizzare, perché naturalmente il peso delle cose negative è maggiore rispetto a quelle positive, come se le dessimo un po’ per scontate. In verità sono tutto fuorché, scontate, a mio avviso.
Vorremmo perdere peso, magari iscriverci in palestra, o iniziare a fare qualche esercizio a casa visto che sono chiuse, sogniamo un cambio di lavoro, di vita in generale.
Abbiamo le migliori motivazioni, almeno apparentemente, ma chissà quanto davvero verosimili e profonde, quante volte ci soffermiamo a chiederci il come mai vogliamo la tal cosa, perché l’abbiamo vista da tizio in televisione, perché fa tendenza, o perché davvero parte da una nostra esigenza, da un nostro bisogno sentito.
Ci spinge una motivazione intrinseca, profonda, di quelle che è in grado di smuovere le montagne, oppure è estrinseca, superficiale, magari per ottenere qualcosa che serva per apparire diversi, per far invidia o per non essere tagliati fuori dalla società perché troppo diversi?
Così il tempo passa e ci imbarchiamo in questa nuova avventura a vele spiegate, però, si sa, in mare ci sono anche i temporali, i pesci grossi e la calma piatta…
Non sempre tutto fila liscio, per cui chi è determinato prosegue, facendo fronte a tante difficoltà, ma arriva; altri si allontanano poco dalla riva, navigano a vista senza uscire mai dalle 12 miglia e al primo ostacolo serio ritornano o nel porto da cui erano partiti, o in un porto diverso, da cui possono decidere di ripartire per arrivare alla meta o di fermarsi definitivamente.
Cosa ci impedisce di cambiare?
Il cambiamento non è mai così facile come sembra, neppure cambiare la disposizione dei mobili a casa è così semplice a farsi come a dirsi! Implica uno stravolgimento al suo interno, volenti o nolenti. Noi vogliamo davvero tutta questa diversità, novità, ne siamo pronti?
In fin dei conti per quanto sia noiosa o poco piacevole la nostra zona di comfort, noi la conosciamo, ne conosciamo ogni angolo, ogni problema, perciò farvi fronte non è così strano, impossibile. Magari, proprio quella scarsa novità ci appesantisce nel quotidiano, ma ci dà anche la sicurezza che non si vada ad incappare in qualcosa di ignoto.
Il cambiamento comporta l’accettazione del “signor Ignoto”. E’ un timore sottile, che serpeggia nascosta nel nostro desiderio di rinnovamento, come sarò una volta che avrò perso …kg, quando avrò comprato…, quando avrò cambiato lavoro…, come saranno i miei colleghi, migliori o peggiori questi…
Come sarò io?
Un “Io” diverso, appunto, nuovo, che non conosco. Un “Io” con un new look!
Affrontabile vedersi in un contesto diverso?
Mi saprò riconoscere? Per quanto tempo riuscirò a portare avanti questo cambiamento? Siamo disposti a stare nell’ambivalenza del voglio cambiare, ma non voglio, non so se voglio al 100%?
Modificare le nostre abitudini richiede, in primis, una nostra disponibilità profonda a farlo e…tempo, che va ben oltre i soliti 21 giorni di cui si parla, perché richiede un diverso modo di pensare, un diverso funzionamento da parte del nostro cervello, diverse connessioni neurali che si devono formare e fortificare grazie alla ripetizione. E’ vero che il cervello impara e dimentica velocemente, come dice R. Bandler, ma ha bisogno comunque di tempo per passare da uno schema automatico ad uno nuovo, da apprendere, da pensieri lenti a pensieri veloci.
Il cervello deve compiere tante funzioni durante l’arco della giornata, per cui deve andare a risparmio di glucosio, di energia e procedere molte volte per automatismi, ecco perché, nonostante i nostri buoni propositi ricadiamo nelle solite vecchie abitudini, pensieri e comportamenti…Perché è più semplice. Sono scorciatoie per andare più velocemente. Sperimentare nuovi percorsi è sì interessante, ma risulta essere lento, devono quindi essere tracciati in modo chiaro, con una buona motivazione alla base, per sostituire quelli oramai veloci e soliti.
Un po’ come quando si sceglie una nuova strada per andare al lavoro, può essere una scelta volontaria o forzata, per via di lavori in corso.
Le ricadute nei vecchi schemi sono più che normali e vanno tenute in considerazione, senza per questo denigrarsi, l’unica cosa che conta è il rideterminare di proseguire e di cambiare…Non si riesce sempre e subito al primo colpo, anzi! E’ stato stimato che solo il 5% delle persone che cercano di cambiare un comportamento disfunzionale riesce a farlo al primo tentativo, tutte le altre ci provano per diverse volte.
E’ noto il detto che le ricadute non sono dei fallimenti, ma fanno parte del percorso, perché come, in tutti i percorsi di apprendimento, perché il nostro è tale, si sta imparando un nuovo modo di vivere, di essere di relazionarsi con sé, gli altri ed il mondo, prevede gli errori.
Di fronte alle sconfitte diventiamo un po’ come dei vasi rotti, per cui cosa ci impedisce di fare come i giapponesi che, abilmente hanno sviluppato l’arte del Kintsugi, di riparare i vasi rotti, valorizzando i punti di rottura?
Noi o li buttiamo via o cerchiamo di nascondere le crepe come fosse qualcosa che va ad intaccare la bellezza dell’oggetto in sé. Per gli orientali, invece, quelle crepe sono importanti, perché danno un che di vissuto a quel vaso, come se avesse tante cose da raccontare, se solo potesse!
Comprendo anche l’amarezza che si prova quando si fallisce, si sbaglia, per me è fondamentale non perdere la voglia di andare avanti facendo tesoro di tante cose, piccole e grandi. Ricordo il proverbio giapponese: cadi sette volte e rialzati otto.
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