I contratti di rete: strumento di competitività per le imprese


Il contratto di rete: ecco quali sono le potenzialità imprenditoriali, nonché i profili di maggior criticità e come arginarli
I contratti di rete: strumento di competitività per le imprese

 

Il contratto di rete è un istituto ancora molto giovane, apparso nel nostro ordinamento con il D.L. n. 5/2009 convertito con la L. n. 33/2009.

Il contratto di rete è stipulato tra due o più imprese, anche appartenenti a diversi settori produttivi, al fine di regolare e agevolare lo scambio di competenze e conoscenze in ottica di una maggiore competitività.

L’istituto vuole fornire alle imprese una maggiore flessibilità in risposta a una evoluzione economica e industriale sempre più repentina e accelerata in virtù dell’aumento, quantitativo e qualitativo, dello sviluppo tecnico. Il fine del legislatore è quello di offrire al mondo dell’impresa un ausilio in termini di maggiore flessibilità, regolandola per ovviare a inevitabili situazioni limite o elusive necessitate dalle esigenze competitive nate negli ultimi anni.

Al comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. 5/2009 come convertito, l’istituto è definito come quel contratto con cui «più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere (…) la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica». Il contratto può prevedere la costituzione di un fondo comune e di un organo in comune per gestire i rapporti e dirigere l’attività comune alle imprese retiste.

Si distingue tra due tipologie di reti di impresa: le reti-contratto e le reti-soggetto.

Quest’ultime sono quelle reti dotate di fondo e organo comune che decidono di dotarsi di soggettività giuridica. Tuttavia, i commentatori non guardano con gran favore a questa seconda fattispecie, che appare meno flessibile e più complessa rispetto alle reti-contratto. A maggior ragione in considerazione che le reti-contratto ben possono esser dotate di fondo e organo comune.

Qualsiasi forma si adotti, perno è il programma di rete. Con tale atto i contraenti devono formalizzare uno scopo comune nonché disciplinare in ogni aspetto la rete: dalla sua fisionomia, alle sue attività. Risulta di grande importanza affrontare la redazione del programma minutamente, cesellando ogni possibile dettaglio: la disciplina legislativa è molto generica, concedendo amplissima possibilità d’azione all’esercizio della libertà contrattuale e d’impresa. Ma la libertà è lama a doppio taglio, dev’esser esercitata con cautela: un programma di rete poco dettagliato può causare incomprensioni e ambiguità, terreno fertile per l’insorgere di contenziosi.

Ma il contratto di rete non è utile solo allo scambio di informazioni, tecnologie, competenze etc., agevola anche la circolazione dei lavoratori all’interno della stessa.

All’art. 30, co., del Dlgs 276/2003 è stato aggiunto, dal D.L. n. 76/2013, il co. 4-ter il quale stabilisce una presunzione legale di interesse al distacco dei lavoratori tra imprese operanti nella cornice di un contratto di rete.  Ma la norma va oltre, chiudendo: «è ammessa la codatorialità  dei  dipendenti ingaggiati con regole  stabilite  attraverso  il  contratto  di  rete stesso».

Purtroppo, però, il legislatore non ha affatto specificato cosa sia la “codatorialità”. Ciò ha portato a un suo scarso impiego, soprattutto per cautela e timore di passi falsi. Tuttavia, è possibile ragionare sull’istituto, tratteggiandone la fisionomia con buona approssimazione.

Due le interpretazioni.   

1. In base alla prima, più liberale, la codatorialità si manifesta in una condivisione dei poteri direttivi delle imprese retiste sui lavoratori. Ciò permette un impiego elastico, quasi promiscuo, dei lavoratori in forza ai retisti, dislocandoli in base alle necessità presso l’una o l’altra impresa, senza dover adempiere alle formalità richieste dal distacco. La titolarità del rapporto, secondo tale impostazione, sarebbe ritenuta dall’impresa che ha assunto il lavoratore: qualsiasi aspetto della vita (e della patologia) del rapporto di lavoro attiene alla relazione bilaterale tra l’impresa che ha assunto e il lavoratore.

2. La seconda impostazione ermeneutica, invece, ritiene che la codatorialità implichi anche la contitolarità del rapporto di lavoro. Ciò ha delle ripercussioni pratiche soprattutto per quanto attiene alla genesi del rapporto di lavoro e ai poteri disciplinari, nonché in tema di responsabilità civile. È da segnalare che questo orientamento appare dominante in ambito giurisprudenziale.

Sul tema è intervenuto il Ministero del lavoro con la Circolare n. 35/2013: «La disposizione inoltre consente “la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”; ciò vuol pertanto significare che, in relazione a tale personale, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete. Sul piano di eventuali responsabilità penali, civili e amministrative – e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti – occorrerà quindi rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare “automaticamente” una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto».       

Questa interpretazione, sebbene non del tutto esplicita e chiarificante, sembrerebbe far propendere per la condivisione tra le imprese retiste solamente del potere direttivo e non anche della titolarità del rapporto.

A ogni buon conto, la circolare, forse un po’ pilatescamente, rimette alla libertà contrattuale delle parti la delimitazione della codatorialità, riducendo, tutto considerato, la pregnanza del dibattito teorico.

Infatti, ancora una volta, è il contratto di rete che dovrà disciplinare ogni aspetto potenzialmente critico e sarà minuzioso nell’articolare l’esercizio del potere direttivo dei retisti sui lavoratori, ma anche ogni altro aspetto, come a esempio quello disciplinare.

In ogni caso, una volta stipulato il contratto di rete, perché generi effetti nei confronti dei lavoratori, è necessario che questi approvino per iscritto, consentendo a sottoporsi al potere direttivo di più imprese.

Un tema potenzialmente spinoso in ambito di codatorialità è quello della contrattazione collettiva. Se le imprese hanno il medesimo CCNL nulla quaestio. Diversamente sarebbe opportuno stilare un accordo collettivo di rete a fini di armonizzazione. Tale seconda ipotesi farebbe nascere la necessità/opportunità di una rappresentanza sindacale riferibile all’ambito di rete.

Infine, una breve nota alle formalità necessarie.  Il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico, con scrittura privata autenticata o per atto firmato digitalmente ai sensi del D.lgs. 82/2005. Il contratto dovrà poi esser iscritto al registro delle imprese. La sua efficacia decorre dall’ultima delle iscrizioni svolte dalle imprese retiste.

 

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di Maurizio Polato C.d.L.

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