I criteri di scelta nelle procedure di mobilità
L' applicazione costituzionalmente orientata dei criteri di scelta è garantista dei principi di non discriminazione, obiettività e razionalità
Nelle procedure di mobilità, rectius licenziamenti collettivi, che l'imprenditore può adottare in presenza delle condizioni previste dalla Legge 223/1991, durante l’articolata procedura ad hoc prevista dalla normativa richiamata assume centrale importanza la problematica della scelta dei dipendenti da inserire nella procedura di licenziamento collettivo.
La procedura dovuta ex lege, infatti, ha il suo punto di partenza nella informativa preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali e i sindacati maggiormente rappresentativi affinchè detti soggetti siano edotti della scelta datoriale di giungere a licenziamento collettivo.
A richiesta del sindacato, all'informativa dovrà seguire un esame congiunto con l’azienda all'esito del quale le parti possono raggiungere un accordo, che individui - tra l'altro - i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in maniera diversa da quelli indicati dalla legge (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali).
I criteri di scelta risultano, quindi, un punto focale e di estrema rilevanza nella procedura specifica e, nel corso del tempo, la loro concreta applicazione è stata oggetto di controversie giudiziarie che hanno stabilito precisi limiti nella cd. determinazione pattizia tra datore di lavoro e sindacato per la loro definizione posto che nel caso di licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta, si applicherà la tutela reintegratoria attenuata.
La concreta applicazione dei criteri di scelta ha, pertanto, dato luogo a contenziosi piuttosto frequenti nelle aule dei tribunali. Accade spesso infatti che il datore di lavoro applichi i criteri di scelta indicati dalla normativa di settore (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali) conferendo ad uno di essi un peso eccessivo rispetto agli altri.
Invero il datore di lavoro è tenuto ad utilizzare i criteri di scelta in maniera organica ed omogenea e, quindi, in concorso tra loro, non potendo avere la facoltà di assegnare a ciascuno di essi un peso diverso, così da alterare arbitrariamente il risultato della scelta.
Molto spesso accade, infatti, che il datore di lavoro utilizzi la specifica procedura del licenziamento collettivo per operazioni dil risanamento, ristrutturazione, riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro solo relativamente a determinati reparti e/o uffici aziendali e non all’intera attività d’impresa. Si tratta all'evidenza di un procedimento ingiusto che può portare potenzialmente a risultati del tutto arbitrari i senza la garanzia dell’equità sottesa alla normativa in questione posta nell’ottica del favor lavoratoris visto che, in tali casi, il datore di lavoro avrebbe la facoltà di escludere ex ante alcuni lavoratori potenzialmente coinvolgibili nella procedura di mobilità; invero se fosse legittima una tale modalità applicativa dei criteri di scelta, il datore di lavoro avrebbe la possibilità di salvare alcuni dipendenti, adibendoli qualche mese prima del licenziamento a reparti che non saranno interessati alla riduzione del personale.
La scelta dei lavoratori da licenziare per potersi ritenere corretta ed equa dovrà, quindi, riguardare l'intero complesso organizzativo e produttivo aziendale non potendo essere limitata solo ai reparti o agli uffici interessati alla riduzione del personale. Pertanto quando in altri reparti o uffici della stessa unità produttiva aziendale vi sono lavoratori svolgenti mansioni professionalmente simili a quelle interessate alla riduzione di personale, i criteri di scelta devono essere applicati anche nei loro confronti. Identico discorso è applicabile al caso di lavoratori svolgenti mansioni fungibili addetti ad altre unità produttive o ad altri stabilimenti dello stesso datore di lavoro posto che anche questi lavoratori dovranno essere tenuti in considerazione nella scelta del personale da licenziare.
Tale interpretazione applicativa della disciplina di settore appare sicuramente costituzionalmente orientata oltre che pienamente rispettosa del principio di non discriminazione (sindacale, politica, religiosa, razziale, sessuale, linguistica) sancito dall'art. 15 della Legge 300/1970, nonché del principio di razionalità posto che solo con tale interpretazione normativa i criteri di scelta eventualmente concordati con le parti sociali potranno possedere i caratteri di obiettività e generalità, oltre che essere coerenti con il provvedimento della mobilità.
La procedura dovuta ex lege, infatti, ha il suo punto di partenza nella informativa preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali e i sindacati maggiormente rappresentativi affinchè detti soggetti siano edotti della scelta datoriale di giungere a licenziamento collettivo.
A richiesta del sindacato, all'informativa dovrà seguire un esame congiunto con l’azienda all'esito del quale le parti possono raggiungere un accordo, che individui - tra l'altro - i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in maniera diversa da quelli indicati dalla legge (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali).
I criteri di scelta risultano, quindi, un punto focale e di estrema rilevanza nella procedura specifica e, nel corso del tempo, la loro concreta applicazione è stata oggetto di controversie giudiziarie che hanno stabilito precisi limiti nella cd. determinazione pattizia tra datore di lavoro e sindacato per la loro definizione posto che nel caso di licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta, si applicherà la tutela reintegratoria attenuata.
La concreta applicazione dei criteri di scelta ha, pertanto, dato luogo a contenziosi piuttosto frequenti nelle aule dei tribunali. Accade spesso infatti che il datore di lavoro applichi i criteri di scelta indicati dalla normativa di settore (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali) conferendo ad uno di essi un peso eccessivo rispetto agli altri.
Invero il datore di lavoro è tenuto ad utilizzare i criteri di scelta in maniera organica ed omogenea e, quindi, in concorso tra loro, non potendo avere la facoltà di assegnare a ciascuno di essi un peso diverso, così da alterare arbitrariamente il risultato della scelta.
Molto spesso accade, infatti, che il datore di lavoro utilizzi la specifica procedura del licenziamento collettivo per operazioni dil risanamento, ristrutturazione, riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro solo relativamente a determinati reparti e/o uffici aziendali e non all’intera attività d’impresa. Si tratta all'evidenza di un procedimento ingiusto che può portare potenzialmente a risultati del tutto arbitrari i senza la garanzia dell’equità sottesa alla normativa in questione posta nell’ottica del favor lavoratoris visto che, in tali casi, il datore di lavoro avrebbe la facoltà di escludere ex ante alcuni lavoratori potenzialmente coinvolgibili nella procedura di mobilità; invero se fosse legittima una tale modalità applicativa dei criteri di scelta, il datore di lavoro avrebbe la possibilità di salvare alcuni dipendenti, adibendoli qualche mese prima del licenziamento a reparti che non saranno interessati alla riduzione del personale.
La scelta dei lavoratori da licenziare per potersi ritenere corretta ed equa dovrà, quindi, riguardare l'intero complesso organizzativo e produttivo aziendale non potendo essere limitata solo ai reparti o agli uffici interessati alla riduzione del personale. Pertanto quando in altri reparti o uffici della stessa unità produttiva aziendale vi sono lavoratori svolgenti mansioni professionalmente simili a quelle interessate alla riduzione di personale, i criteri di scelta devono essere applicati anche nei loro confronti. Identico discorso è applicabile al caso di lavoratori svolgenti mansioni fungibili addetti ad altre unità produttive o ad altri stabilimenti dello stesso datore di lavoro posto che anche questi lavoratori dovranno essere tenuti in considerazione nella scelta del personale da licenziare.
Tale interpretazione applicativa della disciplina di settore appare sicuramente costituzionalmente orientata oltre che pienamente rispettosa del principio di non discriminazione (sindacale, politica, religiosa, razziale, sessuale, linguistica) sancito dall'art. 15 della Legge 300/1970, nonché del principio di razionalità posto che solo con tale interpretazione normativa i criteri di scelta eventualmente concordati con le parti sociali potranno possedere i caratteri di obiettività e generalità, oltre che essere coerenti con il provvedimento della mobilità.
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