I licenziamenti nel Jobs Act
Il Jobs Act ed i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, c.d. economici. La reintegra nel posto di lavoro e l'indennità risarcitoria
In attuazione della Legge delega 183/2014 (il c.d. Jobs Act) il Consiglio dei Ministri ha approvato il D. Lgs. n. 22 del 4 marzo 2015 contenente disposizioni sugli ammortizzatori sociali ed il D. Lgs. n. 23 del 4 marzo 2015 contenente disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Il nuovo contratto a tutele crescenti si applica a tutti gli impiegati, operai e quadri assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 23/2015, ossia a partire dal 7 marzo 2015. Il medesimo Decreto stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, mentre per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del Decreto restano applicabili le norme vigenti in precedenza.
Fatta eccezione per i licenziamenti discriminatori, nulli ed intimati in forma orale, per i quali resta in vigore la reintegrazione nel posto di lavoro, e per i licenziamenti disciplinari per i quali la reintegrazione resta in vigore solo quando sia accertata "l’insussistenza del fatto materiale contestato", negli altri casi in cui si accerti che non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ovvero i cosiddetti "licenziamenti ingiustificati", il Decreto 23/2015 introduce una tutela risarcitoria certa, commisurata all’anzianità di servizio e, quindi, sottratta alla discrezionalità del giudice.
In particolare, l’art. 3, I comma, del Decreto nel disciplinare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico), così come anche per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, regola la tutela obbligatoria prevedendo che nei casi in cui risulta accertata la non ricorrenza degli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo il Giudice dichiarerà estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannerà il datore di lavoro al pagamento di una indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Dunque, a fronte di un licenziamento per motivi economici che venga giudicato illegittimo il dipendente assunto con contratto a tutele crescenti non avrà più la possibilità di riprendere il suo posto di lavoro, nemmeno in caso di manifesta insussistenza del fatto.
La nuova normativa sui licenziamenti c.d. economici elimina, inoltre, la procedura preventiva avanti alla Direzione Provinciale del Lavoro, sino ad oggi prevista dalla riforma "Fornero" per le imprese con più di quindici dipendenti.
L’art. 6 del D. Lgs. 23/2015 prevede, infine, una procedura di conciliazione facoltativa incentivata per evitare successivi contenziosi. In questo caso il datore di lavoro può offrire, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), ed in una delle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c. ed all’art. 76 del D. Lgs. 276/2003, al lavoratore una somma esente da imposizione fiscale e contributiva di ammontare pari ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare; l’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro restano, invece, soggette al regime fiscale ordinario.
Le sedi presso cui poter esperire la conciliazione facoltativa, a mente dell’art. 2113, comma 4, c.c., sono, in via esemplificativa, avanti al Giudice, avanti alla Commissione di Conciliazione costituita presso la DPL, in sede sindacale, avanti alle sedi di conciliazione ed arbitrato previste dai CCNL, avanti al Collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale, avanti alle Commissioni di certificazione (elencate dall’art. 76 del D. Lgs. 276/2003), costituite presso gli enti bilaterali, le DPL e le Province, le Università pubbliche e private, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
Il nuovo contratto a tutele crescenti si applica a tutti gli impiegati, operai e quadri assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 23/2015, ossia a partire dal 7 marzo 2015. Il medesimo Decreto stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, mentre per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del Decreto restano applicabili le norme vigenti in precedenza.
Fatta eccezione per i licenziamenti discriminatori, nulli ed intimati in forma orale, per i quali resta in vigore la reintegrazione nel posto di lavoro, e per i licenziamenti disciplinari per i quali la reintegrazione resta in vigore solo quando sia accertata "l’insussistenza del fatto materiale contestato", negli altri casi in cui si accerti che non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ovvero i cosiddetti "licenziamenti ingiustificati", il Decreto 23/2015 introduce una tutela risarcitoria certa, commisurata all’anzianità di servizio e, quindi, sottratta alla discrezionalità del giudice.
In particolare, l’art. 3, I comma, del Decreto nel disciplinare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico), così come anche per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, regola la tutela obbligatoria prevedendo che nei casi in cui risulta accertata la non ricorrenza degli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo il Giudice dichiarerà estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannerà il datore di lavoro al pagamento di una indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Dunque, a fronte di un licenziamento per motivi economici che venga giudicato illegittimo il dipendente assunto con contratto a tutele crescenti non avrà più la possibilità di riprendere il suo posto di lavoro, nemmeno in caso di manifesta insussistenza del fatto.
La nuova normativa sui licenziamenti c.d. economici elimina, inoltre, la procedura preventiva avanti alla Direzione Provinciale del Lavoro, sino ad oggi prevista dalla riforma "Fornero" per le imprese con più di quindici dipendenti.
L’art. 6 del D. Lgs. 23/2015 prevede, infine, una procedura di conciliazione facoltativa incentivata per evitare successivi contenziosi. In questo caso il datore di lavoro può offrire, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), ed in una delle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c. ed all’art. 76 del D. Lgs. 276/2003, al lavoratore una somma esente da imposizione fiscale e contributiva di ammontare pari ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare; l’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro restano, invece, soggette al regime fiscale ordinario.
Le sedi presso cui poter esperire la conciliazione facoltativa, a mente dell’art. 2113, comma 4, c.c., sono, in via esemplificativa, avanti al Giudice, avanti alla Commissione di Conciliazione costituita presso la DPL, in sede sindacale, avanti alle sedi di conciliazione ed arbitrato previste dai CCNL, avanti al Collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale, avanti alle Commissioni di certificazione (elencate dall’art. 76 del D. Lgs. 276/2003), costituite presso gli enti bilaterali, le DPL e le Province, le Università pubbliche e private, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
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