I piani individuali di risparmio (PIR) sulla rampa
Le caratteristiche dei nuovi strumenti di risparmio introdotti dalla Legge di Stabilità di Dicembre 2016
Si deve alla legge di stabilità del Dicembre 2016 l’ufficializzazione della nascita dei Piani Individuali di Risparmio in Italia.
Un quarto di secolo dopo i PEA (Plan d’Epargne en Actions) francesi, nati nel 1992 con l’intento di sostenere il mercato domestico e quasi vent’anni dopo il Regno Unito, che nel 1999 istituì gli ISA (Individual Saving Account) per incentivare il risparmio [in particolare con finalità di studio e pensione], anche il nostro paese si dota di uno strumento di investimento che ha come obiettivo la canalizzazione verso le piccole e le medie imprese italiane di parte del risparmio.
E i numeri sono potenzialmente di assoluto rilievo: stime della Camera dei Deputati parlano di un ammontare dei PIR nel 2021 superiore ai 5 miliardi di euro (5,4 miliardi_ di cui 1,8 miliardi nel solo 2017), mentre altre stime si spingono ben oltre, fino alla soglia dei 10 miliardi di euro da qui al 2021; comunque sia si tratterebbe di una crescita imponente di liquidità in un segmento, quello delle small & mid cap italiane, storicamente caratterizzato da un ridotto numero di investitori e che dovrebbe ricevere una notevole spinta fin dai prossimi mesi.
Dal punto di vista formale, i PIR possono essere strutturati come contenitori di vario tipo (fondi, OICR, deposito titoli, gestioni patrimoniali, contratti assicurativi) ed utilizzare differenti tipologie di prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, ETF, quote di fondi) con l’obbligo di rispettare determinati vincoli di investimento ben evidenziati dalla normativa, sia in termini di composizione che in termini di durata. In particolare:
- almeno il 70% dei valore degli strumenti contenuti nel PIR deve essere investito (per almeno 2/3 dell’anno solare) in strumenti finanziari (obbligazioni o azioni, sia quotati che non quotati su mercati regolamentati) emessi da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell’Unione Europea ma con stabile organizzazione in Italia. Di tale quota del 70%, almeno il 30% (equivalente cioè al 21% del PIR) deve essere investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE Mib di Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.
- il restante 30% può essere investito in qualsiasi strumento finanziario (compresi depositi e conti correnti).
La normativa indica anche un limite alla concentrazione del patrimonio, per imporre un’adeguata diversificazione del portafoglio, e fissa nel 10% la percentuale massima investibile in strumenti finanziari emessi da uno stesso emittente o stipulati con la stessa controparte.
Il vincolo temporale di detenzione dei PIR è di 5 anni, tale vincolo diviene determinante per poter beneficiare di importanti benefici fiscali previsti dalla normativa; i PIR infatti hanno come caratteristica la totale esenzione, per coloro che sottoscrivono un PIR e lo detengono per almeno 5 anni, della tassazione sul Capital Gain (attualmente pari al 12,5 % per i Titoli di Stato e al 26% per gli altri strumenti finanziari); ulteriore agevolazione riguarda la totale esenzione delle imposte di successione per le somme investite in PIR.
I destinatari dell’agevolazione fiscale sono le persone fisiche, relativamente agli investimenti effettuati fuori dall’esercizio di impresa e ciascuna persona fisica può essere titolare di un solo piano di risparmio.
Considerata la rischiosità dello strumento rispetto ad altre tipologie di investimento, l’ammontare sottoscrivibile massimo per ciascuna persona fisica è di 30.000 euro all’anno, col limite complessivo di 150mila euro.
Per il risparmiatore lo strumento PIR potrebbe rappresentare una possibilità di diversificazione del portafoglio, inserendo un settore, quello delle piccole- medie imprese italiane, poco presente negli asset finanziari degli investitori italiani; naturalmente, per approcciare un investimento in tale settore, caratterizzato da importanti oscillazioni di prezzo, occorre notevole competenza gestionale e buona conoscenza dello stesso, anche per superare le limitazioni di operatività, quali la scarsa liquidità e la necessità di diversificazione, anche in considerazione del fatto che nello strumento PIR sia impossibile eseguire una diversificazione geografica (essendo obbligatoria per legge la partecipazione di aziende italiane) ed anche il rischio specifico rimane elevato (essendo presente il solo settore delle small cap italiane).
Nella scelta del PIR è necessario infine valutare attentamente quelli che sarà la componente costi che verrà proposta dai vari intermediari [in termini di commissioni di sottoscrizione, commissioni di gestione e commissioni di performance], per evitare che del beneficio fiscale possa avvantaggiarsi soprattutto il collocatore [ricordando che il beneficio fiscale resta tale se lo strumento è mantenuto almeno cinque anni, altrimenti diviene assoggettato alle normali imposte].
Il Piano Individuale di Risparmio ha dunque molte peculiarità e per diversi motivi può essere un’interessante idea di investimento, ma per poterlo approcciare nel modo migliore occorre che sia valutato nella sua interezza e nell’interazione con gli altri strumento presenti nel portafoglio dell’investitore, per renderlo efficiente con una corretta allocazione del patrimonio anche in termini di correlazione e di combinazione rischio / rendimento; per verificarne in modo professionale opportunità e difetti l’approccio migliore sarebbe quello del confrontarsi con un consulente in grado di analizzare nel complesso le implicazioni dell’inserimento del PIR nel portafoglio.
Un quarto di secolo dopo i PEA (Plan d’Epargne en Actions) francesi, nati nel 1992 con l’intento di sostenere il mercato domestico e quasi vent’anni dopo il Regno Unito, che nel 1999 istituì gli ISA (Individual Saving Account) per incentivare il risparmio [in particolare con finalità di studio e pensione], anche il nostro paese si dota di uno strumento di investimento che ha come obiettivo la canalizzazione verso le piccole e le medie imprese italiane di parte del risparmio.
E i numeri sono potenzialmente di assoluto rilievo: stime della Camera dei Deputati parlano di un ammontare dei PIR nel 2021 superiore ai 5 miliardi di euro (5,4 miliardi_ di cui 1,8 miliardi nel solo 2017), mentre altre stime si spingono ben oltre, fino alla soglia dei 10 miliardi di euro da qui al 2021; comunque sia si tratterebbe di una crescita imponente di liquidità in un segmento, quello delle small & mid cap italiane, storicamente caratterizzato da un ridotto numero di investitori e che dovrebbe ricevere una notevole spinta fin dai prossimi mesi.
Dal punto di vista formale, i PIR possono essere strutturati come contenitori di vario tipo (fondi, OICR, deposito titoli, gestioni patrimoniali, contratti assicurativi) ed utilizzare differenti tipologie di prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, ETF, quote di fondi) con l’obbligo di rispettare determinati vincoli di investimento ben evidenziati dalla normativa, sia in termini di composizione che in termini di durata. In particolare:
- almeno il 70% dei valore degli strumenti contenuti nel PIR deve essere investito (per almeno 2/3 dell’anno solare) in strumenti finanziari (obbligazioni o azioni, sia quotati che non quotati su mercati regolamentati) emessi da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell’Unione Europea ma con stabile organizzazione in Italia. Di tale quota del 70%, almeno il 30% (equivalente cioè al 21% del PIR) deve essere investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE Mib di Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.
- il restante 30% può essere investito in qualsiasi strumento finanziario (compresi depositi e conti correnti).
La normativa indica anche un limite alla concentrazione del patrimonio, per imporre un’adeguata diversificazione del portafoglio, e fissa nel 10% la percentuale massima investibile in strumenti finanziari emessi da uno stesso emittente o stipulati con la stessa controparte.
Il vincolo temporale di detenzione dei PIR è di 5 anni, tale vincolo diviene determinante per poter beneficiare di importanti benefici fiscali previsti dalla normativa; i PIR infatti hanno come caratteristica la totale esenzione, per coloro che sottoscrivono un PIR e lo detengono per almeno 5 anni, della tassazione sul Capital Gain (attualmente pari al 12,5 % per i Titoli di Stato e al 26% per gli altri strumenti finanziari); ulteriore agevolazione riguarda la totale esenzione delle imposte di successione per le somme investite in PIR.
I destinatari dell’agevolazione fiscale sono le persone fisiche, relativamente agli investimenti effettuati fuori dall’esercizio di impresa e ciascuna persona fisica può essere titolare di un solo piano di risparmio.
Considerata la rischiosità dello strumento rispetto ad altre tipologie di investimento, l’ammontare sottoscrivibile massimo per ciascuna persona fisica è di 30.000 euro all’anno, col limite complessivo di 150mila euro.
Per il risparmiatore lo strumento PIR potrebbe rappresentare una possibilità di diversificazione del portafoglio, inserendo un settore, quello delle piccole- medie imprese italiane, poco presente negli asset finanziari degli investitori italiani; naturalmente, per approcciare un investimento in tale settore, caratterizzato da importanti oscillazioni di prezzo, occorre notevole competenza gestionale e buona conoscenza dello stesso, anche per superare le limitazioni di operatività, quali la scarsa liquidità e la necessità di diversificazione, anche in considerazione del fatto che nello strumento PIR sia impossibile eseguire una diversificazione geografica (essendo obbligatoria per legge la partecipazione di aziende italiane) ed anche il rischio specifico rimane elevato (essendo presente il solo settore delle small cap italiane).
Nella scelta del PIR è necessario infine valutare attentamente quelli che sarà la componente costi che verrà proposta dai vari intermediari [in termini di commissioni di sottoscrizione, commissioni di gestione e commissioni di performance], per evitare che del beneficio fiscale possa avvantaggiarsi soprattutto il collocatore [ricordando che il beneficio fiscale resta tale se lo strumento è mantenuto almeno cinque anni, altrimenti diviene assoggettato alle normali imposte].
Il Piano Individuale di Risparmio ha dunque molte peculiarità e per diversi motivi può essere un’interessante idea di investimento, ma per poterlo approcciare nel modo migliore occorre che sia valutato nella sua interezza e nell’interazione con gli altri strumento presenti nel portafoglio dell’investitore, per renderlo efficiente con una corretta allocazione del patrimonio anche in termini di correlazione e di combinazione rischio / rendimento; per verificarne in modo professionale opportunità e difetti l’approccio migliore sarebbe quello del confrontarsi con un consulente in grado di analizzare nel complesso le implicazioni dell’inserimento del PIR nel portafoglio.
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