I riti camerali della Cassazione
La riforma del 2016
Il D.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modifiche nella L. n. 197/2016 ha, come è noto, profondamente innovato le modalità del rito e dell’udienza della Cassazione con significative ricadute sulle modalità di difesa e di motivazione.
Il fondamento delle riforme è rappresentato dall’art. 1 bis della legge che, rubricato “Misure per la ragionevole durata del procedimento per la decisione del ricorso per cassazione”, ha modificato gli artt. 375, 376, 377, 379, 380 bis, 380 bis 1, 380 ter, 390, 391 e 391 bis.
La reazione della dottrina e degli avvocati è generalmente negativa e c’è chi ha parlato di “sconforto”, ma risultati positivi, come si ricava dai dati contenuti nelle recenti “Brevi Considerazioni sul Nuovo Rito Civile” del dott. Di Cerbo, ci sono stati per la maggioranza delle sezioni (seconda, terza e quarta), che hanno smaltito l’arretrato e chiuso con saldo positivo.
Però, la Cassazione, nel suo complesso, ha chiuso nel 2018 ancora una volta in negativo: 6.583 cause in più dell’anno precedente. Le “pecore nere” sono la sezione lavoro (4.404 ricorsi) e quella tributaria (1.114), quelle cioè che si occupano delle parti più dolenti e significative della realtà sociale e politica della nazione.
La Sezione Filtro
Il primo presidente della Corte, fin dalla riforma del 2009, rimette tutti i ricorsi all’esame della sesta sezione (la sezione-filtro) che, ex art. 376 c.p.c., preliminarmente vaglia quelli di sua esclusiva pertinenza (art. 375 nn. 1 e 5) e li decide con ordinanza, dichiarandone l’inammissibilità, la manifesta infondatezza o fondatezza.
Se non ricorrono queste ipotesi, li rimette alle sezioni semplici, mediante le sue corrispondenti sottosezioni, sollecitando la decisione per quelli di interesse nomofilattico.
La gestione del contenzioso è agevolato da tabelle, elaborate mediante rilevazione di flussi e pendenze su tutto il territorio nazionale ed elaborate con sistema informatico che consente di operare scelte, oltre che in base a criteri di rilievo sociale, anche in base nomofilattico.
A loro volta, le sezioni semplici si organizzano in ragione di tali dati. La sezione lavoro, ad esempio, che deve affrontare il numero più elevato di procedimenti, ha ripartito i suoi collegi in tre aree specialistiche (1. impiego pubblico privatizzato; 2. previdenza e assistenza; 3. rapporto di lavoro privato) e provvede ad uno spoglio preliminare dei ricorsi, affidato all’Ufficio spoglio sezionale, composto da tre consiglieri e sei magistrati del massimario, a sua volta inserito in un’altra struttura (SCO, Struttura di Coordinamento Organizzativo) di cui fanno parte anche gli stagisti avviati al periodo di formazione teorico-pratica presso la Corte, i tirocinanti e un consigliere di supporto al Presidente titolare.
“L’attività di spoglio – scrive il dott. Di Cerbo – non è finalizzata unicamente a individuare le specifiche questioni da trattare, a indicare il numero dei motivi di ricorso (principale e/o incidentale) e a provvedere a eventuali accorpamenti, ma deve fornire anche una indicazione per il presidente o per il magistrato delegato alla formazione dei ruoli di udienza circa la natura del singolo ricorso al fine di indirizzarlo all’udienza pubblica (ove lo stesso meriti una pronuncia rilevante) o all’udienza camerale”. Tirocinanti e stagisti affiancano i consiglieri sia nelle udienze pubbliche che nelle adunanze camerali.
Si tratta, come si vede, di un’organizzazione veramente agile.
Lo snellimento dei processi
Peraltro, la valutazione della sezione filtro non è vincolante per la sezione semplice (Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2013, n. 219), che può a sua volta decidere per la sussistenza delle ipotesi ex nn, 1 e 5 ex art. 375, o disporre per la trattazione in pubblica udienza. Cioè la medesima causa viene esaminata per lo stesso motivo almeno due volte (per tacere degli esami che vengono effettuati ai fini dello spoglio), con evidente alleggerimento del lavoro dei magistrati.
Tutto è ormai, infatti, all’insegna dell’urgenza di snellimento dei processi: l’udienza pubblica con la presenza dei difensori e discussione orale è divenuta ormai l’eccezione ed è regola il rito camerale, esso stesso alleggerito di alcune incombenze. L’art. 377 c.p.c. ha ora un terzo comma: “Il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all’articolo 376, primo comma, quando occorre, ordina con decreto l’integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell’impugnazione a norma dell’articolo 332, ovvero che essa sia rinnovata”.
L’art. 375 c. 1. n.2, che prevedeva la pronuncia con ordinanza in camera di consiglio è stato abrogato.
Ulteriore snellimento si è avuto in tema di rinuncia: ex art. 390 modificato, può essere esercitata sino alla data dell’adunanza camerale, o finché non siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all’articolo 380-ter ed ex art. 391 provvede il presidente con decreto, se non è stata ancora fissata la data della decisione. Solo dopo la fissazione dell’udienza “la Corte provvede con ordinanza in camera di consiglio, salvo che debba decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento fissati per la pubblica udienza”.
Niente difensori, dunque, e niente p.m. nel nuovo rito regolato dagli artt. 380bis c.p.c., nel nuovo art. 380-bis.1, e nel nuovo art. 380ter c.p.c.. Alle parti si manda solo la comunicazione della fissazione del ricorso in Camera di Consiglio almeno 40 gg. prima, deposito delle conclusioni del p.m. 20 gg. prima e i difensori memorie (possibilmente non oltre 15 pagine) 10 gg. prima. E le repliche? Niente repliche.
La modifica dell’art. 380 bis1 non obbliga più il relatore ad esporre, sia pure concisamente, le ragioni per cui ritenga ricorrere le ipotesi di fondatezza, infondatezza, inammissibilità dei ricorsi, bensì solo di proporre al Presidente di sezione semplice la trattazione in Camera di Consiglio a questi fini. Questi decide se trattar la causa in pubblica udienza o con rito camerale indicando nel decreto se ricorra ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza. Non sussiste, però, obbligo di comunicazione ai difensori, che, nel depositare le loro memorie scritte si trovano a ignorare l’orientamento del relatore e sono obbligati a ripetere le loro difese “alla cieca”, con argomentazioni non mirate.
Per giunta, un processo per il quale era stata prevista trattazione camerale, potrebbe invece, per diversa valutazione del collegio, esser portato in pubblica udienza (cfr. Cass., Sez. II, 6 marzo 2017, n. 5533; Cass., Sez. III, 1 agosto 2017, n. 19115; Cass., Sez. II, 20 dicembre 2017, n. 30596). Altre sentenze, però (cfr. Cass., Sez. I, 5 aprile 2017, n. 8869; Cass., Sez. V, 18 gennaio 2018, n. 1192), anche in caso di questione nuova ritengono di non tener pubblica udienza, essendo, a loro avviso, l’art. 380 bis.1 “congegnato in modo tale da assicurare a tutte le parti la possibilità di esporre compiutamente i propri assunti (Cass. 2017 n. 8869).
I poteri delle parti nel nuovo processo
In realtà, le parti non hanno più la possibilità di intervenire oralmente ex art. 379 c.p.c. per rappresentare questioni di diritto che possono esser sfuggite al Presidente di sezione.
E’ ben vero che il protocollo di intesa 15 dicembre 2016 tra Corte di Cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l’Avvocatura Generale dello Stato prevede dei correttivi alla lettera della legge. Perciò: a) in caso di inammissibilità o improcedibilità, dovrà indicarsi l’ipotesi ravvisata ed il dato normativo, o il precedente, o descriverla brevemente; b) in caso di manifesta fondatezza, si dovrà indicare il motivo che la giustifica, ed il precedente; c) nel caso opposto di manifesta infondatezza, i precedenti giudiziali, le ragioni per cui i singoli motivi, per effetto di sintetica e complessiva valutazione, debbano considerarsi infondati.
Se non si ravvisano i presupposti di inammissibilità ovvero manifesta fondatezza/infondatezza del ricorso, l’art. 380bis.1 c.p.c. prevede che, almeno quaranta giorni prima della data fissata per la trattazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione, siano avvisati gli avvocati delle parti e il pubblico ministero, con previsione per la formulazione di deduzioni e/o conclusioni in vista della camera di consiglio: venti giorni prima per il pubblico ministero e dieci giorni prima per le parti.
Manca, come dinanzi alla sezione filtro, ogni indicazione sull’orientamento della Corte.
Purtroppo tali correttivi, peraltro insufficienti, restano secondo la giurisprudenza (cfr. Cass., Sez. 6-3, 22 febbraio 2017, n. 4541; Cass., Sez. 6-2, 29 novembre 2017, n. 28615; Cass., Sez. 6-3, 16 marzo 2018, n. 6629) a discrezione del Presidente “assolutamente non dovuta né doverosa”, alimentando così fondati dubbi circa l’art. 380 bis c.p.c. di legittimità costituzionale.
Manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità
Qualcuno, infatti, ha avanzato dubbi di costituzionalità giacché l’art. 101 cost. sembra prevedere l’udienza pubblica come norma, ma già la Corte con le ordinanza Cass. – sez. 6 10.1.2017 n. 395 e Cass., Sez. 6-5, 2 marzo 2017, n. 5371 ha ritenuto la questione manifestamente infondata: le osservazioni scritte tutelano a sufficienza le parti: non c’è bisogno di udienze pubbliche con annesse discussioni.
Significativamente ex art. 1 del d.l. 31 agosto 2016 il primo presidente della Corte di Cassazione, ex art. 1 del D.l. 31 agosto 2016, n. 168 può, “per ragioni di urgenza e di necessità, può applicare temporaneamente i magistrati addetti all'ufficio del massimario alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità”.
Nel collegio non può sedere più di un magistrato del massimario e la sua presenza è, comunque, preziosa per documentare e ricordare agli altri giudici l’indirizzo della Cassazione.
Le nuove disposizioni, in virtù del secondo comma del citato art. 1 bis, si applicano ai ricorsi depositati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione (ovvero al 30 ottobre 2016), ma anche a quelli già depositati alla stessa data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.
Un problema particolare è rappresentato dai casi di ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore della l. n. 197/2016 nei cui confronti la controparte non abbia presentato controricorso fidando nella replica orale in udienza pubblica.
Una parte della giurisprudenza ha ritenuto che, in caso di rito camerale, si debba concedere anche a questa controparte di depositare memorie ex art. 380 bis e 380 bis.1 c.p.c. (Cass., sez. lav., 27 febbraio 2017, n. 4906; Cass. 6-3, 24 marzo 2017, n.7701), ma Cass. 6-3, 20 ottobre 2017, n. 24835, la pensa diversamente: il convenuto che non ha presentato controricorso ha perso la facoltà di presentare memorie.
L’art. 380ter c.p.c. prevede, a proposito delle istanze di regolamento di giurisdizione ovvero di competenza (art. 375 c.p.c., n. 4 co. 1 ), che il p.m., su richiesta del presidente, formuli le sue conclusioni scritte che, assieme al decreto di fissazione della camera di consiglio siano notificate almeno venti giorni prima agli avvocati delle parti, che possono depositare, entro il termine di cinque giorni prima della data fissata. Alla camera di consiglio non parteciperà neppure il p.m..
Anche i giudici sono obbligati alla concisione dal decreto del Primo presidente 14 settembre 2016: “tecniche più snelle di redazione della motivazione”, niente esposizione dei fatti di causa (“quando … emergono dalle ragioni della decisione”) e dei motivi di ricorso (quando risultino dal “tenore della risposta della Corte”), nonché mediante l’utilizzo di “appositi moduli”.
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