Identità genere: cambio di sesso senza operazione
La Suprema Corte interviene sulla necessità o meno dell’intervento chirurgico quale presupposto per la rettifica anagrafica del sesso
Con una decisione storica la Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza nr. 15138/2015, si esprime sul tema attuale e ampiamente dibattuto dell’identità di genere.
L’identità di genere o gender si riferisce alla percezione e alla consapevolezza che la persona ha di sé come individuo maschile, femminile o ambivalente, ovvero come persona che non si identifica necessariamente né con il genere femminile, né con quello maschile. In quest'ultimo caso si parla di solito di persone transgender, un termine che definisce tutte le persone che non si riconoscono all'interno dei generi maschile e femminile, considerati invece come due estremi di un'identità in continuo movimento tra i poli maschio e femmina.
La vicenda nasce dal caso di una persona transessuale di 45 anni che, nonostante nell’anno 1999 avesse ottenuto dal Tribunale l’autorizzazione all’intervento chirurgico di modifica dei propri caratteri primari, chiede l’autorizzazione alla rettifica delle stato civile senza sottoporsi all’intervento chirurgico poiché nel tempo raggiunge un equilibrio psico-fisico tale da vivere ed essere socialmente riconosciuta come una donna.
La richiesta del ricorrente viene rigettata sia in primo grado, sia in appello, sulla scorta di quella giurisprudenza - sino ad allora - dominante che non ritiene sufficiente la modifica dei soli caratteri sessuali secondari attraverso terapie ormonali e interventi estetici, ritenendo invece necessario e prodromico alla rettifica anagrafica l’intervento sui cosiddetti caratteri sessuali primari (organi genitali e riproduttivi).
Il contrasto giurisprudenziale trae origine da un’espressione poco chiara e ambivalente contenuta nella normativa di riferimento, legge 14 aprile 1982 nr. 164, che autorizza l’adeguamento dei caratteri sessuali mediante trattamento chirurgico " quando risulta necessario".
L’orientamento maggioritario ha ritenuto di dover interpretare tale concetto in senso "restrittivo" con conseguente indispensabilità dell’intervento chirurgico al fine di tutelare un interesse superiore e statuale volto a dare certezza sul genere maschile o femminile all’interno delle relazioni giuridiche.
Di contro, l’orientamento minoritario ritenendo di dare risalto al diritto all’identità personale della persona transessuale, nonché al diritto alla salute, ha sostenuto come l’intervento chirurgico risulti particolarmente invasivo per la persona e pertanto non necessario.
La Suprema Corte, con un revirement rispetto alla giurisprudenza sino a quel momento dominante, ha inteso risolvere il contrasto tra sesso anagrafico/sesso psicologico, aderendo al secondo orientamento.
Secondo la Corte, nel nostro ordinamento il diritto all’identità di genere trova fondamento negli artt. 2,3 e 32 della Costituzione e già nel lontano 1985 la Corte Costituzionale si è espressa a favore di un collocamento della legge 164 in armonia con "una civiltà giuridica in evoluzione sempre più attenta ai valori di libertà e dignità della persona umana che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie e anomale".
Non solo. La sentenza risulta perfettamente in linea con i principi di diritto europeo i quali attribuiscono rilievo al diritto di autodeterminazione in rapporto all’identità di genere a sua volta garantito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) che sancisce come "lo sviluppo della personalità individuale si realizzi anche attraverso il riconoscimento giuridico del cambiamento anagrafico del sesso".
In questo senso, la Cassazione ritiene che "la conclusione del processo di ricongiungimento tra soma e psiche" non può attualmente essere stabilita in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell’intervento chirurgico, che non rappresenta la soluzione, ma solo un eventuale ausilio per il benessere della persona.
La diffusione di una cultura tesa a tutelare i diritti dei singoli individui, sensibile alle libertà individuali e relazionali che compongono la vita di ciascun soggetto, hanno favorito il concetto che la persona transessuale possa scegliere il percorso medico-psicologico più idoneo per se stesso volto al mutamento dell’identità di genere.
La Cassazione afferma, infatti, che la scelta delle modalità attraverso cui effettuare la transizione non può che essere una scelta del singolo e che, in molti casi, tale transizione può essere raggiunta anche solo attraverso terapie ormonali e interventi sui caratteri sessuali secondari che garantiscono alla persona di conquistare l’equilibrio e fissare la propria identità di genere a prescindere dalla modificazione chirurgica. Il tutto accompagnato da un rigoroso controllo giudiziale che assicura la sostanziale immutabilità della scelta personale e la stabilità nei rapporti giuridici con i terzi, realizzando l’interesse dello stato alla certezza delle relazioni giuridiche.
La sentenza rappresenta una fase significativa dell’evoluzione giurisprudenziale orientata alla valorizzazione dei diritti dei singoli afferenti alla libertà , alla dignità e alla salute, componenti essenziali della vita di ciascun soggetto.
L’identità di genere o gender si riferisce alla percezione e alla consapevolezza che la persona ha di sé come individuo maschile, femminile o ambivalente, ovvero come persona che non si identifica necessariamente né con il genere femminile, né con quello maschile. In quest'ultimo caso si parla di solito di persone transgender, un termine che definisce tutte le persone che non si riconoscono all'interno dei generi maschile e femminile, considerati invece come due estremi di un'identità in continuo movimento tra i poli maschio e femmina.
La vicenda nasce dal caso di una persona transessuale di 45 anni che, nonostante nell’anno 1999 avesse ottenuto dal Tribunale l’autorizzazione all’intervento chirurgico di modifica dei propri caratteri primari, chiede l’autorizzazione alla rettifica delle stato civile senza sottoporsi all’intervento chirurgico poiché nel tempo raggiunge un equilibrio psico-fisico tale da vivere ed essere socialmente riconosciuta come una donna.
La richiesta del ricorrente viene rigettata sia in primo grado, sia in appello, sulla scorta di quella giurisprudenza - sino ad allora - dominante che non ritiene sufficiente la modifica dei soli caratteri sessuali secondari attraverso terapie ormonali e interventi estetici, ritenendo invece necessario e prodromico alla rettifica anagrafica l’intervento sui cosiddetti caratteri sessuali primari (organi genitali e riproduttivi).
Il contrasto giurisprudenziale trae origine da un’espressione poco chiara e ambivalente contenuta nella normativa di riferimento, legge 14 aprile 1982 nr. 164, che autorizza l’adeguamento dei caratteri sessuali mediante trattamento chirurgico " quando risulta necessario".
L’orientamento maggioritario ha ritenuto di dover interpretare tale concetto in senso "restrittivo" con conseguente indispensabilità dell’intervento chirurgico al fine di tutelare un interesse superiore e statuale volto a dare certezza sul genere maschile o femminile all’interno delle relazioni giuridiche.
Di contro, l’orientamento minoritario ritenendo di dare risalto al diritto all’identità personale della persona transessuale, nonché al diritto alla salute, ha sostenuto come l’intervento chirurgico risulti particolarmente invasivo per la persona e pertanto non necessario.
La Suprema Corte, con un revirement rispetto alla giurisprudenza sino a quel momento dominante, ha inteso risolvere il contrasto tra sesso anagrafico/sesso psicologico, aderendo al secondo orientamento.
Secondo la Corte, nel nostro ordinamento il diritto all’identità di genere trova fondamento negli artt. 2,3 e 32 della Costituzione e già nel lontano 1985 la Corte Costituzionale si è espressa a favore di un collocamento della legge 164 in armonia con "una civiltà giuridica in evoluzione sempre più attenta ai valori di libertà e dignità della persona umana che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie e anomale".
Non solo. La sentenza risulta perfettamente in linea con i principi di diritto europeo i quali attribuiscono rilievo al diritto di autodeterminazione in rapporto all’identità di genere a sua volta garantito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) che sancisce come "lo sviluppo della personalità individuale si realizzi anche attraverso il riconoscimento giuridico del cambiamento anagrafico del sesso".
In questo senso, la Cassazione ritiene che "la conclusione del processo di ricongiungimento tra soma e psiche" non può attualmente essere stabilita in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell’intervento chirurgico, che non rappresenta la soluzione, ma solo un eventuale ausilio per il benessere della persona.
La diffusione di una cultura tesa a tutelare i diritti dei singoli individui, sensibile alle libertà individuali e relazionali che compongono la vita di ciascun soggetto, hanno favorito il concetto che la persona transessuale possa scegliere il percorso medico-psicologico più idoneo per se stesso volto al mutamento dell’identità di genere.
La Cassazione afferma, infatti, che la scelta delle modalità attraverso cui effettuare la transizione non può che essere una scelta del singolo e che, in molti casi, tale transizione può essere raggiunta anche solo attraverso terapie ormonali e interventi sui caratteri sessuali secondari che garantiscono alla persona di conquistare l’equilibrio e fissare la propria identità di genere a prescindere dalla modificazione chirurgica. Il tutto accompagnato da un rigoroso controllo giudiziale che assicura la sostanziale immutabilità della scelta personale e la stabilità nei rapporti giuridici con i terzi, realizzando l’interesse dello stato alla certezza delle relazioni giuridiche.
La sentenza rappresenta una fase significativa dell’evoluzione giurisprudenziale orientata alla valorizzazione dei diritti dei singoli afferenti alla libertà , alla dignità e alla salute, componenti essenziali della vita di ciascun soggetto.
Articolo del: