Il '68 e l'influenza sul diritto
Nella ricorrenza del cinquantennale del sessantotto possiamo analizzare il significato che il fenomeno ha avuto per il mondo del diritto italiano in particolare nell’ambito del diritto di famiglia incidendo sul ruolo della donna nella società, mettendone in discussione e riconoscendone il diritto allo studio, al lavoro, alla parità di salario e, soprattutto, i diritti civili.
Il codice civile del 1942 sanciva l’autorità del pater familias, il capo famiglia, che da solo esercitava la patria potestà sui figli e decideva tutte le fondamentali scelte inerenti alla vita familiare. La moglie risultava in toto subordinata al marito nei rapporti personali, in quelli patrimoniali e nei riguardi dei figli.
La Corte Costituzionale nel 1968 è intervenuta con diverse sentenze affermando il principio di uguaglianza anche “morale” e pari dignità di entrambi i coniugi:
- con le sentenze n. 126 e n. 147 del 1969 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 569 codice penale, che prevedeva e puniva il reato di adulterio della moglie e dell’art. 560 codice penale riguardante il reato di concubinato;
- con la pronuncia n. 127 ha dichiarato incostituzionale l’art. 151 codice civile, nella parte in cui considerava l’adulterio del marito irrilevante ai fini della separazione dei coniugi, a differenza dell’adulterio della moglie, sempre causa di separazione;
- con la pronuncia n. 133 del 1970, ha dichiarato incostituzionale l’art. 145 codice civile, introducendo in tal modo il principio della reciprocità nel mantenimento e nella contribuzione nei casi in cui si verifichi l’impossibilità di uno dei coniugi a provvedere alle proprie necessità vitali eliminando il dovere di contribuzione in rapporto al sesso e alla titolarità della potestà maritale;
- con la sentenza n. 79 del 1969, ha dichiarato l’incostituzionalità di una serie di norme, in materia successoria, profondamente discriminatorie sia dei figli naturali rispetto a quelli legittimi sia del coniuge superstite per il quale era esclusa la titolarità di erede e si configurava invece l’attribuzione della qualità di usufruttuario.
Nel 1970 nascevano i primi collettivi femministi all’interno dei gruppi che facevano parte del cosiddetto Movimento Studentesco. Sulla loro spinta, venne introdotto con la legge n. 898/1970, confermata dal referendum popolare del 1974, il divorzio. Subito dopo con la grande Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 il Legislatore, dopo lunghi dibattiti, ha assicurato:
- separazione nel matrimonio tra rito religioso e rito civile;
- riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio;
- depenalizzazione dell’adulterio femminile;
- comproprietà dei beni acquistati dopo il matrimonio;
- patria potestà riconosciuta anche alla madre, per cui la “patria potestà” viene sostituita con “potestà genitoriale” e si trasformerà con la legge n. 219 del 2012 in “responsabilità genitoriale”.
Per contrastare la grande piaga dell’aborto clandestino per cui solo chi aveva possibilità economiche si affidava a medici esosi e compiacenti, oppure approfittava di cliniche private dove l’intervento veniva registrato come aborto spontaneo, nel 1978 veniva approvata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, anch’essa confermata da un referendum. Con un altro referendum, quello del 1981, ne fu sancita la depenalizzazione.
Criticamente, considerando che ogni movimento crea nella società una spinta di cambiamento antropologico, alla luce di tutte queste nuove normative che toccano da vicino la famiglia, il nucleo centrale della società, occorre chiederci se esse hanno portato veramente ad un miglioramento della nostra “civiltà” .
Nel giudizio di Bergoglio il “’68 “ è una “rivoluzione tradita” perché i poveri continuano a essere oppressi dai ricchi.
Dal Sessantotto in poi, così afferma, i diritti dell’uomo proclamati vent’anni prima dalle Nazioni Unite, primo fra tutti quello alla vita, sono sempre più impunemente violati, basta pensare ai bambini scartati ancor prima di nascere.
Hanno successivamente preso piede «nuovi diritti» in contrasto con le tradizioni socio-culturali di vari Paesi in una sorta di «colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli».
Come ci si può stupire che a distanza di cinquant’anni masse di popoli affluiscano verso Paesi in cui vengono soddisfatti tutti i bisogni? Occorre alzare lo sguardo, vincere gli egoismi e cogliere le provocazioni che vengono dal passato per pensare ad un altro mondo migliore possibile per tutti.
Articolo del: