Il “catenaccio” nella partita tra Stati Uniti e Cina tra dazi e protezionismo
Il “catenaccio” indica quella tattica utilizzata nel gioco del calcio dove il miglior attacco è la difesa. Gli schemi contano poco, l’importante è saper difendere la propria porta a tutti i costi da qualsiasi avversario e la vittoria viene di conseguenza.
L’idea del catenaccio nasce in Svizzera negli anni 30, dal tecnico del Servette Karl Rappan, per poi essere portato in Italia dall’allenatore della Salernitana, Gipo Viani nel 1947-48. Lo schema prevedeva di togliere un centravanti ed aggiungere un difensore, in quanto le squadre dell’epoca prediligevano l’impiego di tre punte e la marcatura a uomo, di conseguenza per un attaccante era sufficiente superare il proprio marcatore per trovarsi in solitudine a tu per tu con il portiere.
Il Catenaccio viene storicamente ricordato come lo schema tattico che diede inizio al cosiddetto calcio all'italiana a cui ha legato indissolubilmente i propri successi. L’apice di questo modulo è stato raggiunto dall’Italia allenata da Enzo Bearzot vincitrice dei mondiali nel 1982, ma secondo parte degli opinionisti sportivi anche la nazionale italiana di Marcello Lippi, campione del mondo nel 2006, avrebbe adottato un atteggiamento tattico con le classiche caratteristiche del catenaccio.
L’applicazione del “catenaccio” è riconducibile alle politiche di protezionismo che sta portando avanti Trump nei confronti dell’economia Cinese. In effetti, il “tecnico” degli USA, Donald Trump, ha aggiunto il numero dei difensori in campo a discapito degli attaccanti passando da un modulo “3-4-3” a un “5-4-1”. Il “centrale di difesa”, il dazio, è un’imposta indiretta che si applica alla dogana sulle merci commercializzate da uno Stato all’altro, che viene di norma calcolato come percentuale del valore del bene stesso. L’effetto sperato dall’imposizione di questa tassazione è di proteggere le attività produttive nazionali riducendo fortemente le importazioni, con la finalità di migliorare il saldo della bilancia commerciale degli Stati Uniti d’America e, di conseguenza, anche della bilancia dei pagamenti.
A favore della manovra degli USA, l’economista John Maynard Keynes, nel saggio “Autosufficienza economica” pubblicato nel 1933, ha difeso il protezionismo e successivamente, nel 1944, ha sostenuto a Bretton Woods l’idea di un sistema monetario internazionale che mantenesse per ogni paese l’equilibrio della bilancia dei pagamenti.
Al contrario, altri economisti quali Ricardo, Heckscher-Ohlin, Krugman e Melitz hanno denunciato il protezionismo. Infatti, la teoria classica ha sempre sostenuto che gli scambi internazionali comportino un aumento del livello di competitività delle aziende e della produttività aggregata con una riduzione del livello dei prezzi e un incremento dei beni acquistabili dai consumatori.
Storicamente, l’America aveva già provato ad imporre con la legge Smoot-Hawley del 1930 delle tariffe doganali su più di 20.000 prodotti; questo però aveva generato l’effetto opposto a quello desiderato, con il peggioramento della bilancia dei pagamenti. Da quel momento in poi, l’America aveva sempre favorito l’apertura al commercio internazionale fino alla presidenza di Donald Trump.
Proprio lo scorso 24 settembre “l’allenatore” americano ha “messo in campo” ulteriori dazi pari al 10% su un valore di 200 miliardi di beni made in China. Questa politica si aggiunge alla precedente imposizione effettuata tra il mese di luglio ed agosto su un totale di 50 miliardi di importazioni cinesi. Il presidente americano ha anche annunciato che a partire dai primi mesi del 2019 l’aliquota del 10% potrebbe passare al 25% anche sui 200 miliardi di dollari schierati da Trump nel “secondo tempo”, ovvero su circa 6000 prodotti. La Cina dal canto suo ha contrattaccato con un aumento dell’imposizione di tariffe doganali del 5% su 1600 prodotti e del 10% su circa altri 3500, per un totale di 60 miliardi di dollari di merci provenienti dagli Stati Uniti.
In aggiunta, il governo cinese può sempre ricorrere ad un ulteriore indebolimento della valuta nazionale, il renminbi. Infatti, se la Cina svalutasse ancora di più la propria moneta, renderebbe nuovamente appetibili i beni cinesi per gli acquirenti statunitensi. Questa ipotesi permetterebbe di contrastare la politica protezionista di Trump e i cittadini americani potrebbero continuare a comprare le merci provenienti dalla Cina senza avvertire l’introduzione dei nuovi dazi.
Tuttavia, la sfida tra gli USA e la Cina potrebbe a questo punto far “scendere in campo” altri paesi decretando l’inizio di un vero e proprio “campionato del mondo”. In primis, i maggiori rischi sono previsti con riferimento ai comparti più vulnerabili, ovvero i paesi emergenti che sono maggiormente esposti alle implicazioni del rallentamento dell’economia cinese. Infatti, preoccupa la possibilità di innestare un effetto depressivo anche sulle loro valute, tra l’altro già sollecitato dal movimento registrato dalla lira turca. In secondo luogo l’inasprimento delle tariffe sul commercio internazionale può determinare un aumento della volatilità dei mercati.
Il rischio di progressivi aumenti delle tensioni nel campo delle politiche commerciali rimane molto elevato. Non si possono fare pertanto pronostici sulla “nazionale campione del mondo”, del resto anche il catenaccio non ha portato a buoni risultati per l’Italia nelle ultime competizioni internazionali. Per la prima volta il “mondiale di calcio” potrebbe non avere un vero vincitore.
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