Il Comitato Parlamentare per Procedimenti d'Accusa al Capo dello Stato


L'esame delle accuse al Capo dello Stato è rimesso a un particolare Comitato che opera con metodo politico e paragiudiziario con indirizzi spesso conflittuali
Il Comitato Parlamentare per Procedimenti d'Accusa al Capo dello Stato

Il presidente della repubblica è esente, ex art. 90 della Costituzione, da sanzioni per atti illeciti commessi in ragione del suo ufficio, salvo i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione.

L’accusa per questi ultimi viene presentata alla presidenza del Senato, che immediatamente la trasmette ad un comitato apposito: il Comitato Parlamentare per i Procedimenti di Accusa, regolato dalla legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1 e dal regolamento parlamentare, approvato qualche mese dopo dalle due camere. 

Il comitato, costituito da senatori e deputati, insediati all’inizio di ogni legislatura, deve procedere, in seduta segreta, all’esame dell’accusa e decidere se archiviare o ritenere che il presidente della repubblica debba esser processato dalla Corte Costituzionale in composizione speciale. In entrambi i casi le Camere possono chiedere, entro un determinato termine, di esaminare gli atti e decidere se confermare o meno la decisione del Comitato.

Tutto questo, però, riguarda solo i reati di alto tradimento e di attentato alla costituzione: per gli altri eventuali illeciti l’esame dell’accusa passa ai giudici ordinari. Infatti, quando sia stata disposta l’archiviazione da parte degli organismi parlamentari, gli atti sono rimessi alla magistratura ordinaria, che deve verificare se risultino altri illeciti e se il Presidente li abbia commessi in ragione del suo ufficio (e quindi ne vada esente ex art. 90 cost.) o se invece siano illeciti privati, ed in tal caso il Capo dello Stato ne risponde come un qualsiasi altro comune cittadino.

Insomma, il comitato per le accuse al Presidente (ed eventualmente le Camere riunite) funzionano, limitatamente all’alto tradimento e all’attentato alla costituzione, quasi come procuratore della repubblica e giudice per le indagini preliminari.

È questa la prima anomalia che si incontra: il giudice per le indagini preliminari è a garanzia dell’imputato, il procuratore della repubblica veglia all’osservanza delle leggi, svolge le indagini e ne sottopone i risultati al G.i.p. Il Comitato ha entrambe le funzioni: può anche disporre indagini.

Altra anomalia è che i componenti del comitato continuano a svolgere le stesse funzioni degli altri parlamentari che, tra l’altro, possono apertamente discutere e chiedere giudizi al Governo, nelle rispettive Camere, sulle stesse accuse al Presidente della Repubblica, oggetto di esame nelle sedute segrete del Comitato.

C’è poi una terza anomalia: la Costituzione “nomina” l’alto tradimento e l’attentato alla costituzione, ma non ne dà alcuna definizione, né porta elementi che consentano di accertarne le modalità delittuose e, addirittura, non ne specifica la sanzione, limitandosi ad alcune indicazioni decisamente vaghe.

Tutte queste anomalie non sono casuali, né tanto meno illegali: la Costituzione stessa ha voluto che le cose funzionassero così, che cioè il Presidente accusato fosse, in prime cure, esaminato da un organo politico e non giudiziario, qual è il Comitato per le accuse al Capo dello Stato

Tutto questo induce a considerare più in concreto il funzionamento della messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica e questo è possibile solo per due casi dei quali il più rilevante fu quello di Francesco Cossiga, per l’eccezionalità sia morale che intellettuale di quanti furono allora coinvolti.

Il presidente Cossiga era già stato accusato di attentato alla Costituzione da parlamentari del partito della Rifondazione Comunista in relazione al caso Gladio, in data 21 dicembre 1990, ma l’accusa era stata tempestivamente archiviata per infondatezza dal Comitato. Il 6 dicembre 1991 la stessa accusa ed altre furono presentate dal PDS, cui si aggiunsero parlamentari di altre formazioni. 

Il presidente del Comitato nella seduta segreta del 10 novembre 1991 innanzi tutto pose il problema della necessità di conciliare gli obblighi inerenti alle sedute camerali e quelle proprie del Comitato (“Richiama l’attenzione sui compiti particolari del Comitato, organo politico che ha funzioni «para-giudiziarie»” Com. verbale 10 novembre 1991).

Questo aspetto decisamente straordinario di un organo politico con funzioni giudiziarie o paragiudiziarie vien poi ulteriormente sottolineato nel corso dell’esame delle denunce (“Il senatore Santini ha rilevato che il Comitato è un organo parlamentare, la cui attività ha un contenuto politico” ibidem).

Per valutare pienamente il peso di tale contenuto si consideri che nel Comitato operavano, come “giudici” del fatto, parlamentari autori delle denunce, che non potevano esser ricusati. Infatti, ex art. 3, co. 1, Regolamento Parlamentare per i procedimenti d'accusa, i componenti del Comitato hanno solo la facoltà, se loro concessa, di astenersi (“pertanto, l'esigenza richiamata dovrà essere prospettata direttamente ai parlamentari interessati” Com., verb. 9 gennaio 1992).

Il Comitato, quindi, non ha la “terzietà” del Giudice e del P.M., e porta nell’esame delle denunce tutto il peso del disegno politico dei suoi membri, che va tenuto presente per quanto riguarda entrambi gli esiti: proscioglimento mediante archiviazione, o messa in stato d’accusa. Ciò, come s’è detto, non per un debordare dalle funzioni, come può accadere per difetto nel processo ordinario, ma per volontà espressa della Costituzione, che vuole, nelle prime cure, questo peso della politica nell’accertamento delle responsabilità.

Una piena comprensione di questa scelta dei Padri Costituenti può sembrare abnorme e addirittura ingiusta e richiederebbe un esame attento di tale specificità costituzionale. 

C’è comunque un aspetto particolare e facilmente intuibile, che salta agli occhi: la funzione unica del Presidente della Repubblica, quale Capo dello Stato, che viene costantemente tenuta presente nell’accertamento dei reati: “la qualifica del soggetto attivo fa sì che lo stesso atto inidoneo (ad esser qualificato come reato) se compiuto da un comune cittadino, può diventare pericolosamente idoneo se proveniente dal Capo dello Stato, tanto più che si tratta di un delitto di pericolo e non di danno” (Com.verb. 10 novembre 1991).

Questo comporta una divaricazione nel giudicare l’operato dell’imputato. Da un lato si rileva che comportamenti, i quali di per sé sarebbero insufficienti a configurare un reato, nel loro insieme, assumono rilevanza penale, inquadrandosi in un disegno per mutare la forma di Governo con mezzi non consentiti. D’altro lato la vocazione politica del Comitato non lo esime dal dovere di esame prettamente giuridico (“certamente il comitato è un organo a composizione politica, il quale però non deve tralasciare i dovuti approfondimenti di natura giuridica” Com., verb. 11 dicembre 1991).

Di contro, all’indirizzo di interpretare estensivamente la norma penale in ragione della funzione unica del Presidente della Repubblica, non manca quello di chi respinge nettamente questo proprio in ragione di un’applicazione puntuale del diritto.

“Va altresì respinta l'impostazione, secondo cui le figure previste dall'articolo 90 della Costituzione sarebbero autonomamente rilevanti e, quindi, non occorrerebbe riferirsi a specifiche norme penali per la loro determinazione: si tratterebbe di una aberrante tesi del «diritto penale libero», del tutto in contrasto con l'articolo 25 della Costituzione, espressione di un principio di alta civiltà giuridica” (Comitato, veb. 9 gennaio 1992).

Il problema politico fa capolino anche per quanto riguarda la valutazione degli equilibri costituzionali turbati: “occorre al riguardo la massima prudenza, trattandosi di rapporti politici e di equilibri costituzionali, che chiamano in causa le condotte di diversi organi, che fanno sì che alcuni equilibri, vengano definiti in un certo modo. Semmai è rilevante la violazione delle condizioni sulle quali possono fondarsi tali equilibri” (ibidem).

La situazione fu politicamente sbloccata dalle dimissioni presentate dal Presidente Cossiga. Il Comitato decise per l’archiviazione e gli atti furono trasmessi al Giudice ordinario per un ulteriore iter che riservò non poche interessanti sorprese.
 

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di Pietro Bognetti

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