Il comodato in favore del nucleo familiare
Viene impresso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari incompatibile con la provvisorietà che caratterizza il comodato precario

Nonostante siano note le peculiarità del comodato, ci interroghiamo spesso con riguardo alle conseguenze di tale istituto quando abbia per oggetto un bene immobile e, come destinazione, un nucleo familiare. Tali interrogativi, su cui si sono formati nel tempo orientamenti diversi nella giurisprudenza di merito e di legittimità, trovano finalmente risposte convergenti.
La Corte di Cassazione, Sez. III, con la recentissima sentenza n. 24618 del 3.12.2015, ha stabilito che il comodato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi) concreta un comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. La Corte precisa che, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, è stato impresso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari, vincolo idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà del comodante. In altre parole, la destinazione, impressa per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall'incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario.
La recente statuizione della Corte di Cassazione si muove nel solco indicato delle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza del 29 settembre 2014, n. 20448, avevano confermato che il comodato di casa familiare, anche in mancanza di espressa determinazione pattizia della data di scadenza, è sempre da considerarsi a termine, a norma dell’art. 1809 del codice civile, e non precario ex art. 1810 c.c.. Il rapporto dura, quindi, fino a quando permangano le esigenze abitative della famiglia del comodatario ed il comodante non può recedere ad nutum, ma solo in caso di «urgente e impreveduto bisogno» ex art. 1809, comma 2, cod. civ.
Cosa accade se il comodato è concluso verbalmente? In caso di controversia, incombe sul comodatario l’onere di dimostrare, nel giudizio di restituzione dell’immobile ed anche mediante presunzioni, l’esistenza di un comodato di casa familiare «con scadenza non prefissata», mentre spetta al comodante, che invochi la cessazione del comodato l’onere di provare il relativo presupposto (raggiungimento del termine prefissato, oppure patto di una diversa destinazione).
Il comodante, che voglia riprendere l’immobile, deve fondare il proprio diritto alla restituzione alla sopravvenienza di un bisogno serio, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione. Ed infatti ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, per porre fine al comodato, occorre la necessità di un uso diretto, oppure il sopraggiungere di un imprevisto deterioramento della condizione economica che giustifichi la restituzione del bene, ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione, per esempio. Il giudice dovrà valutare la proporzionalità e l’adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.
Oltre che urgente, il bisogno deve essere «impreveduto» dal comodante al momento della conclusione del contratto. Non è invece necessario che il bisogno sia anche imprevedibile; ciò risulta sia dalla chiara formulazione dell’art. 1809, comma 2°, del codice civile, sia dalla considerazione che, trattandosi di un rapporto gratuito, sarebbe palesemente inaccettabile gravare il comodante dell’onere di valutare in anticipo gli eventi futuri, tali da rendergli necessaria la restituzione della cosa.
La Corte di Cassazione, Sez. III, con la recentissima sentenza n. 24618 del 3.12.2015, ha stabilito che il comodato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi) concreta un comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. La Corte precisa che, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, è stato impresso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari, vincolo idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà del comodante. In altre parole, la destinazione, impressa per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall'incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario.
La recente statuizione della Corte di Cassazione si muove nel solco indicato delle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza del 29 settembre 2014, n. 20448, avevano confermato che il comodato di casa familiare, anche in mancanza di espressa determinazione pattizia della data di scadenza, è sempre da considerarsi a termine, a norma dell’art. 1809 del codice civile, e non precario ex art. 1810 c.c.. Il rapporto dura, quindi, fino a quando permangano le esigenze abitative della famiglia del comodatario ed il comodante non può recedere ad nutum, ma solo in caso di «urgente e impreveduto bisogno» ex art. 1809, comma 2, cod. civ.
Cosa accade se il comodato è concluso verbalmente? In caso di controversia, incombe sul comodatario l’onere di dimostrare, nel giudizio di restituzione dell’immobile ed anche mediante presunzioni, l’esistenza di un comodato di casa familiare «con scadenza non prefissata», mentre spetta al comodante, che invochi la cessazione del comodato l’onere di provare il relativo presupposto (raggiungimento del termine prefissato, oppure patto di una diversa destinazione).
Il comodante, che voglia riprendere l’immobile, deve fondare il proprio diritto alla restituzione alla sopravvenienza di un bisogno serio, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione. Ed infatti ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, per porre fine al comodato, occorre la necessità di un uso diretto, oppure il sopraggiungere di un imprevisto deterioramento della condizione economica che giustifichi la restituzione del bene, ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione, per esempio. Il giudice dovrà valutare la proporzionalità e l’adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.
Oltre che urgente, il bisogno deve essere «impreveduto» dal comodante al momento della conclusione del contratto. Non è invece necessario che il bisogno sia anche imprevedibile; ciò risulta sia dalla chiara formulazione dell’art. 1809, comma 2°, del codice civile, sia dalla considerazione che, trattandosi di un rapporto gratuito, sarebbe palesemente inaccettabile gravare il comodante dell’onere di valutare in anticipo gli eventi futuri, tali da rendergli necessaria la restituzione della cosa.
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