Il concorso di colpa del paziente


Responsabilità medica: il concorso di colpa del paziente nella produzione del danno. Applicazione dell’art. 1227 c.c.
Il concorso di colpa del paziente
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Sezione III - sentenza n. 11637 del 26 maggio 2014) ha posto l’accento su di una questione forse troppo poco tenuta in considerazione in materia di responsabilità medica: il concorso di colpa del paziente.

In taluni casi, infatti, può sussistere il concorso di colpa del paziente, sia nella produzione del danno che nell’aggravamento delle sue conseguenze. A tale proposito, l’art. 1227 c.c. dispone che il risarcimento del danno è limitato o escluso quando il danneggiato, per negligenza o imprudenza, abbia contribuito alla verificazione del danno stesso (art. 1227 c.c., primo comma: "Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate". Art. 1227 c.c., secondo comma: "Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza").

La Suprema Corte, nella sentenza sopra richiamata ha precisato che: "Fermo restando che la Corte d'appello - come si è visto - è pervenuta alla condanna del professionista seguendo un iter logico giuridico diverso da quello del Tribunale, essa avrebbe comunque dovuto affrontare anche il profilo della responsabilità concorrente del defunto paziente. La sentenza di primo grado, secondo quanto risulta dalla stessa pronuncia d'appello, aveva accertato che il C. era da ritenere corresponsabile nell'evento letale, avendo effettuato i prescritti controlli ematici ad intervalli temporali ben più ampi rispetto a quelli consigliati dal tipo di terapia in corso di svolgimento".

In passato la giurisprudenza aveva avuto modo di pronunciarsi anche su altre fattispecie di condotta del paziente ritenute rilevanti per l’interruzione del nesso causale tra la condotta dell’asserito danneggiante e l’evento dannoso.

È stato ritenuto ad esempio rilevante il comportamento del paziente in merito alla attuazione del trattamento terapeutico, essendo necessaria la sua disponibilità a ricevere il trattamento sanitario: una condotta assenteista e discontinua, il ritardo nel rivolgersi al medico nonostante la presenza di determinati disturbi, possono incidere negativamente sull'esito del trattamento, concorrendo a determinarne l'insuccesso.

Una fattispecie di particolare rilievo riguarda il rifiuto del paziente a sottoporsi ad un determinato trattamento medico. Potrebbe verificarsi il caso in cui un intervento non sia riuscito e le conseguenze di tale intervento siano rimovibili solo sottoponendo il paziente ad un secondo trattamento. Ci si chiede se sia possibile configurare in capo al paziente un obbligo di sottoporsi al trattamento e se il rifiuto sia "sanzionabile" attraverso il secondo comma dell'art. 1227 c.c. La giurisprudenza ha ritenuto che: "l'esigibilità di una terapia chirurgica è ammissibile soltanto nei casi in cui la superficialità e la semplicità di essa terapia non esponga la persona (...) ad un particolare rischio; la esigibilità deve invece essere esclusa allorché l'intervento chirurgico sia potenzialmente dannoso per la salute dell'individuo" (Cass. 10.12.86, n. 7372). «L'inosservanza del dovere di diligenza posto a carico del danneggiato dall'art. 1227, comma 2, c.c. si configura come fatto totalmente o parzialmente impeditivo della responsabilità del danneggiante» (Cass. 10 novembre 2000, n. 14630); «L'onere di ordinaria diligenza richiesto ex art. 1227 comma 2 c.c. al creditore per limitare il danno da inadempimento va esteso anche a quei comportamenti positivi attraverso cui il danno possa essere evitato o ridotto con certezza» (Trib. Rovereto 16 marzo 1998).

In dottrina si è ritenuto che dalla lettura dell'art. 1227 c.c. sia possibile "argomentare nel senso dell'esclusione del risarcimento allorché l'evento produttivo del danno sia da ascrivere principalmente, se non esclusivamente, alla volontà dello stesso danneggiato" (Cherubini 1978, 85). Il comportamento del danneggiato configura in questo caso una ipotesi di causa di per sé sufficiente a produrre l’evento dannoso.

E ancora, è stato statuito, in un caso di asserita responsabilità del medico dentista, che: "In tema di responsabilità medica deve essere esclusa l'esistenza di un nesso causale tra l'operato del dentista e il danno lamentato dal paziente quando quest'ultimo ha seguito in modo discontinuo e negligente le prescrizioni del dentista e ha interrotto la cura prima che giungesse a termine". (Tribunale Roma, sez. XII, 03 agosto 2004).



Avv. Luisa Gaspari

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di Avv. Luisa Gaspari

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