Il contratto di lavoro a tempo determinato


Analisi della disciplina del contratto a termine dopo l'entrata in vigore del decreto Dignità
Il contratto di lavoro a tempo determinato

Il contratto di lavoro a tempo determinato rappresenta una delle più diffuse forme di regolamentazione del lavoro subordinato. Si caratterizza per l’apposizione di un termine finale - allo spirare del quale il contratto si considera risolto di diritto - ed è generalmente utilizzato dai datori di lavoro per soddisfare esigenze temporanee di impiego.

I datori di lavoro, tuttavia, di frequente ricorrono al contratto a termine pur in assenza di specifiche esigenze organizzative; per tale motivo il legislatore si è manifestato estremamente prudente nel consentire che il rapporto di lavoro possa avere una durata predeterminata dalle parti: ha, quindi, subordinato la fissazione di un termine alla presenza di esigenze di carattere tecnico, organizzativo o produttivo, necessarie a giustificare il ricorso a questo tipo contrattuale (c.d. causale): è, inoltre, previsto che l’apposizione del termine e l’indicazione della causale debbono risultare per iscritto dal contratto o dalla lettera di assunzione, pena la conversione del contratto in contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Per evitare di rendere eccessivamente precaria la posizione del lavoratore ha poi stabilito anche dei limiti di durata massima e regole molto rigide per il rinnovo dei contratti a tempo determinato, soprattutto per i casi in cui tra lo stesso datore di lavoro concluda successivamente diversi contratti a termine con lo stesso dipendente.

Negli ultimi decenni, tali limiti e condizioni hanno subito modifiche frequenti e spesso radicali, l’ultima delle quali apportate dal decreto Dignità (Decreto Legge n. 87/2018), varato dal nuovo Esecutivo giallo-verde.

Fino al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del nuovo decreto) il contratto a termine poteva essere concluso tra datore di lavoro e lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, senza obbligo di causale e per la durata massima di 36 mesi (salvo per le attività di lavoro stagionali, o la specifica pattuizione dei contrattivi collettivi che prevedessero termini maggiori).

Non era obbligatoria l’indicazione della causale sostituita da alcuni parametrici numerici, preventivamente calcolabili dal datore di lavoro per evitare l’incertezza delle interpretazioni giuridiche: era previsto, infatti, che il datore di lavoro, al primo gennaio dell’anno di riferimento, potesse assumere con contratto a termine un numero di lavoratori non superiore al 20% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato.

Era prevista, inoltre, la possibilità, con il consenso del lavoratore, di prorogare il termine finale per un massimo di cinque volte (nel caso in cui il contratto iniziale avesse una durata inferiore a tre anni).

Il rinnovo del contratto era invece subordinato ad una disciplina peculiare, rimasta ad oggi immutata: il legislatore ha previsto il c.d. stop and go, ovvero un intervallo di tempo che deve trascorrere prima che sia possibile stipulare un nuovo contratto a tempo determinato.

Per i contratti di durata semestrale è possibile rinnovare il contratto decorsi 10 giorni dallo spirare del termine; mentre per i contratti di durata superiore si debbono attendere ulteriori 20 giorni.

Il nuovo decreto Dignità ha invece apportato modifiche sostanziali, prevedendo la durata massima dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore pari a 24 mesi, con la consueta eccezione per le attività stagionali e per la diversa previsione del contratto collettivo nazionale.

Qualora il limite dei 24 mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, la legge prevede la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, a partire dalla data di tale superamento.

È inoltre consentito il numero massimo di quattro proroghe, all’interno dei 24 mesi di utilizzo: mentre è rimasta invariata la disciplina dei rinnovi con la previsione dello stop and go di 10 e 20 giorni.

È stato reintrodotto l’obbligo della causale: salvo nel caso di primo contratto di durata non superiore a 12 mesi, o proroga di contratto di durata non superiore a 12 mesi,  il datore di lavoro potrà ricorrere a contratti di lavoro a termine soltanto per esigenze temporanee ed oggettive, estranee all'ordinaria attività; o per le esigenze di sostituzione di altri lavoratori, o per esigenze connesse ad incrementi temporanei e significativi dell'attività ordinaria.

Al fine di disincentivare il ricorso massiccio a tale forma contrattuale, il legislatore ha inoltre previsto una maggiorazione contributiva pari all’1,40% sul primo contratto a termine e dell’1,90% per ogni rinnovo del contratto a termine.

Le modifiche normative introdotte dal legislatore appaiono dunque chiaramente dirette a limitare l’utilizzo del contratto di lavoro a termine,  rafforzando la tutela del lavoratore.

In tal senso è fondamentale menzionare la previsione di un diritto di precedenza a favore dei lavoratori a termine nel caso di nuove assunzione nella stessa azienda: con riferimento alle mansioni espletate in esecuzione dei rapporti a termine, il lavoratore che abbia lavorato per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi.

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di Enrico Spagnolo

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