Il demansionamento dopo il D.Lgs 81/2015.


Profili interpretativi del novellato art. 2103 c.c. alla luce delle novità introdotte dal Jobs Act.
Il demansionamento dopo il D.Lgs 81/2015.
Il 24.06.2015 è stato pubblicato in G.U. il D.Lgs. 81/2015 recante "Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183".
La modifica che ha suscitato maggiore interesse riguarda le mansioni nel lavoro subordinato, con la possibilità di assegnazione non soltanto di mansioni di qualifica superiore ma anche di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiori.
Il novellato art. 2103 c.c. prevede, quindi, un ampio ius variandi. All’interno del medesimo livello e della stessa categoria legale di inquadramento, infatti, possono esservi molteplici mansioni, talmente distanti sul piano pratico, da rendere un lavoratore inabile all’esercizio di alcune.
Ad appesantire la situazione, il secondo comma dell’art. 2103 c.c. recita che "In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purchè rientranti nella medesima categoria legale."
La dequalificazione del lavoratore sarebbe legittima qualora costituisca l’unica alternativa possibile al licenziamento; in questo senso, l’attribuzione a mansioni inferiori potrebbe considerarsi giustificata anche se disposta autonomamente dal datore di lavoro.
Tra i diritti riconosciuti al lavoratore vi è la conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo riconosciuto prima dell’assegnazione alle mansioni corrispondenti al livello inferiore. Vengono esclusi, però, gli elementi retributivi connessi a peculiari modalità di esecuzione della prestazione lavorativa svolta in precedenza.
I soli doveri per il datore di lavoro nell'operare il demansionamento saranno quelli di comunicare per iscritto il mutamento e di conservazione della retribuzione goduta.
Però, il contenuto del nuovo articolo 2103 c.c. apparirebbe viziato da un eccesso di delega.
Infatti, l’art. 7 della Legge Delega n. 183/2014 disponeva che "Allo scopo di rafforzare le opportunita' di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, [..] il Governo e' delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali: e) revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalita' e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento;".
Appare evidente che la legge delega ricollegava la modifica peggiorativa del contenuto professionale al «caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi»; basta poco, invece, per rendersi conto che il presupposto ora individuato dal legislatore appare del tutto inidoneo a costituire garanzia di un esercizio non autocratico del potere direttivo. E parimenti, su un altro versante, deve apparire chiaro come ogni impresa, anche quella che produce utili, necessita periodicamente di modificare l'organizzazione interna e, spesso, i sistemi di lavoro. Collegare, quindi, una dilatazione dei poteri dell’imprenditore alla sussistenza di situazioni descritte non già attraverso elementi oggettivi che prendono in considerazioni situazioni estranee alla mera volontà del vertice aziendale, e comunque di così frequente manifestazione, rischia, di fatto, in contrasto con la legge delega, di rendere l’applicazione del principio della corrispondenza fra retribuzione e mansioni, di cui all’attuale art. 2103 c.c., condizionata ad una clausola meramente potestativa. Detto in altri termini, la "modifica degli assetti organizzativi" è effetto della decisione aziendale, non ne è causa.

È necessario, quindi, un breve accenno al significato e alla nozione di "modifica degli assetti organizzativi". E' un termine del tutto generico e equiparabile a struttura organizzativa, fotografata dall'organigramma dell’azienda. E, pertanto, per modifica degli assetti organizzativi si deve intendere ogni modifica della struttura organizzativa. Così la chiusura di una sede, la chiusura di uno stabilimento, la fusione.
Nel caso in cui la questione finisca davanti ad un giudice, questi dovrà valutare l'effettivo mutamento degli assetti organizzativi e l'incidenza sul lavoratore.

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di Avv. Sara Salaorni

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