Il “diritto alla disconnessione” del lavoratore
Esiste davvero la possibilità e il diritto di “staccare” dal lavoro?
Quando si parla di "diritto alla disconnessione" ci si riferisce ad un aspetto specifico della società attuale e, soprattutto, dell’odierno sistema che caratterizza il mondo del lavoro.
L’origine dell’analisi muove da un dato di fatto oltremodo notorio, ossia la diffusione - inarrestabile - dei nuovi strumenti tecnologici - materiali ed immateriali - di cui la maggior parte delle persone è, ormai, dotata; basti pensare, in tal senso, anche soltanto ai principali hardware come smartphone, tablet e pc e, d’altro lato, ai sistemi software, quali, ad esempio, email ed applicazioni di messaggistica istantanea (soprattutto SMS e "WhatsApp").
Ecco: nel momento in cui tali apparati vengono utilizzati dal lavoratore per rendere la sua prestazione lavorativa - per sua scelta oppure, prevalentemente, per necessità produttive proprie dell’impresa - viene in rilievo il tema del diritto alla disconnessione, riferito, come ovvio, all’arco temporale successivo al termine dell’orario di lavoro. È di facile intuizione, infatti, che l’uso promiscuo - pressoché inevitabile - di tale strumentazione (per lavoro e per la vita privata) abbia come conseguenza immediata quella di mantenere un legame ininterrotto con l’organizzazione imprenditoriale, con i colleghi e con i superiori, rischiando così di compromettere il necessario ristoro psico-fisico a cui ogni prestatore, quotidianamente, ha diritto.
Di certo, la rivoluzione 4.0 ha generato nuovi sistemi di classificazione ed inquadramento del personale nonché modalità alternative di svolgimento della prestazione lavorativa. Ne è un chiaro esempio lo "smart work", ovvero il cosiddetto lavoro agile, che prevede lo svolgimento dell’attività di lavoro a distanza, al di fuori dai locali aziendali. Esso, il lavoro agile, punta a favorire la conciliazione dei tempi lavorativi con le esigenze della vita privata del prestatore; tuttavia, per potersi svolgere, la tecnologia è essenziale: pc, smartphone, tablet, ecc. Il fatto di non essere più legati al classico cartellino, ma al contrario essere sempre reperibili tramite i vari "device", fa sì che il distacco tra le ore di attività e quelle di riposo si affievolisca o, spesso, si confonda.
Ecco che, quindi, è necessario l’intervento di una legge specifica che disciplini il nuovo rapporto tra privacy, lavoro e diritto al riposo psico-fisico, tra vita privata e vita lavorativa. Sta diventando sempre più essenziale un "cambio di passo" per tutelare la salute, la dignità e la personalità del lavoratore, sempre più identificato con la sua identità digitale. Allo stato, gli unici, timidi, accenni al diritto alla disconnessione si rintracciano nell’ambito della regolamentazione del sopra citato lavoro agile o "smart work" (art. 19 della L. 81/2017, c.d. "Statuto del lavoro autonomo") e nell’ultimo rinnovo del CCNL Scuola Pubblica, intervenuto nel mese di febbraio 2018.
In Francia esiste già da tempo un dibattito e una normazione su tali temi mentre in Germania hanno adottato un metodo pratico e diretto; infatti, molti dirigenti hanno previsto, all’interno delle società che dirigono, una policy aziendale che pone dei paletti ben precisi per evitare l’abuso di "contatti" con, e tra, i dipendenti al di fuori del normale orario di lavoro. Ad esempio, in alcuni casi viene stabilito che dalle sette di sera fino alle sette del mattino del giorno successivo è vietato inviare e-mail, SMS o qualunque altro tipo di messaggistica per non interferire nella sfera privata durante le ore di riposo.
E’ questo, di certo, un tema che dovrà essere al centro di un nuovo confronto tra la classe politica e le parti sociali, in modo da trovare un punto di incontro tra il diritto al ristoro psico-fisico, il diritto alla privacy e il potere etero-direttivo del datore di lavoro nei casi di dipendenti che utilizzano, per la loro prestazione, le nuove tecnologie. Nel frattempo, sarebbe auspicabile colmare il vuoto normativo con adeguate policy aziendali seguendo, ad esempio, il modello tedesco.
L’origine dell’analisi muove da un dato di fatto oltremodo notorio, ossia la diffusione - inarrestabile - dei nuovi strumenti tecnologici - materiali ed immateriali - di cui la maggior parte delle persone è, ormai, dotata; basti pensare, in tal senso, anche soltanto ai principali hardware come smartphone, tablet e pc e, d’altro lato, ai sistemi software, quali, ad esempio, email ed applicazioni di messaggistica istantanea (soprattutto SMS e "WhatsApp").
Ecco: nel momento in cui tali apparati vengono utilizzati dal lavoratore per rendere la sua prestazione lavorativa - per sua scelta oppure, prevalentemente, per necessità produttive proprie dell’impresa - viene in rilievo il tema del diritto alla disconnessione, riferito, come ovvio, all’arco temporale successivo al termine dell’orario di lavoro. È di facile intuizione, infatti, che l’uso promiscuo - pressoché inevitabile - di tale strumentazione (per lavoro e per la vita privata) abbia come conseguenza immediata quella di mantenere un legame ininterrotto con l’organizzazione imprenditoriale, con i colleghi e con i superiori, rischiando così di compromettere il necessario ristoro psico-fisico a cui ogni prestatore, quotidianamente, ha diritto.
Di certo, la rivoluzione 4.0 ha generato nuovi sistemi di classificazione ed inquadramento del personale nonché modalità alternative di svolgimento della prestazione lavorativa. Ne è un chiaro esempio lo "smart work", ovvero il cosiddetto lavoro agile, che prevede lo svolgimento dell’attività di lavoro a distanza, al di fuori dai locali aziendali. Esso, il lavoro agile, punta a favorire la conciliazione dei tempi lavorativi con le esigenze della vita privata del prestatore; tuttavia, per potersi svolgere, la tecnologia è essenziale: pc, smartphone, tablet, ecc. Il fatto di non essere più legati al classico cartellino, ma al contrario essere sempre reperibili tramite i vari "device", fa sì che il distacco tra le ore di attività e quelle di riposo si affievolisca o, spesso, si confonda.
Ecco che, quindi, è necessario l’intervento di una legge specifica che disciplini il nuovo rapporto tra privacy, lavoro e diritto al riposo psico-fisico, tra vita privata e vita lavorativa. Sta diventando sempre più essenziale un "cambio di passo" per tutelare la salute, la dignità e la personalità del lavoratore, sempre più identificato con la sua identità digitale. Allo stato, gli unici, timidi, accenni al diritto alla disconnessione si rintracciano nell’ambito della regolamentazione del sopra citato lavoro agile o "smart work" (art. 19 della L. 81/2017, c.d. "Statuto del lavoro autonomo") e nell’ultimo rinnovo del CCNL Scuola Pubblica, intervenuto nel mese di febbraio 2018.
In Francia esiste già da tempo un dibattito e una normazione su tali temi mentre in Germania hanno adottato un metodo pratico e diretto; infatti, molti dirigenti hanno previsto, all’interno delle società che dirigono, una policy aziendale che pone dei paletti ben precisi per evitare l’abuso di "contatti" con, e tra, i dipendenti al di fuori del normale orario di lavoro. Ad esempio, in alcuni casi viene stabilito che dalle sette di sera fino alle sette del mattino del giorno successivo è vietato inviare e-mail, SMS o qualunque altro tipo di messaggistica per non interferire nella sfera privata durante le ore di riposo.
E’ questo, di certo, un tema che dovrà essere al centro di un nuovo confronto tra la classe politica e le parti sociali, in modo da trovare un punto di incontro tra il diritto al ristoro psico-fisico, il diritto alla privacy e il potere etero-direttivo del datore di lavoro nei casi di dipendenti che utilizzano, per la loro prestazione, le nuove tecnologie. Nel frattempo, sarebbe auspicabile colmare il vuoto normativo con adeguate policy aziendali seguendo, ad esempio, il modello tedesco.
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