Il diritto di accesso agli atti amministrativi


Il giudizio ex art. 116 c.p.a, i presupposti, il potere sostitutivo del giudice amministrativo e l'accesso finalizzato alle indagini difensive
Il diritto di accesso agli atti amministrativi

Qual è il principale rimedio contro l’inadempimento della pubblica amministrazione che non ha mai riscontrato l’istanza di accesso agli atti amministrativi e quindi all’intero procedimento amministrativo che ha condotto alla loro adozione? 

La domanda di semplice risposta, ovvero il particolare giudizio innanzi al g.a., si rintraccia all’interno dell’art. 116 del codice del processo amministrativo che però da tempo ha animato un forte dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Sebbene si tratti di un giudizio impugnatorio, poiché in forma il ricorrente va ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo un provvedimento di diniego oppure allo spirare dei 30 giorni un silenzio significativo, ovvero un diniego implicito, il giudizio avverso il silenzio mira a sollecitare il sindacato del collegio circa l’accertamento della sussistenza o meno della titolarità all’accesso ai documenti amministrativi richiesti.

In virtù di ciò, a seguito dell’attivazione di tale rito, il sindacato del g.a. non si estende certo ai vizi e alla motivazione usata dalla p.a. per negare l’accesso agli atti ma pone la sua attenzione sulla legittimazione all’accesso agli atti amministrativi con  una verifica puntuale che, se positiva, porterà il giudice amministrativo ad esercitare nei confronti della p.a. un potere sostitutivo. In sostanza, ex art. 116 comma 4 c.p.a, il g.a. potrà ordinare alla p.a. di esibire al ricorrente i documenti richiesti. Inoltre non assume alcun rilievo, come chiarisce il T.a.r Catania nella recente sentenza n. 695 del 4 marzo 2021, che la p.a., individuati i soggetti controinteressati, ovvero il novero di quei privati cittadini portatori di interessi contrapposti a quello del ricorrente, non abbia provveduto a comunicare loro l’esercizio del diritto di accesso, provvedendo semplicemente a negare quest’ultimo.

Trattasi di una circostanza irrilevante e non dirimente al fine del diniego immotivato e dunque illegittimo, in quanto incompatibile con il diniego all’accesso e con i principi di legalità, trasparenza ed imparzialità della p.a. oltre che di quello di favorire la logica partecipativa. Sul punto il collegio riflette sulla doppia logica insita all’interno dell’art. 24 comma 7 della legge 241/90 che disciplina appunto il diritto di accesso agli atti e documenti della p.a..

Si tratta di una logica partecipativa che stabilisce che  “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia “necessaria” per curare o per difendere i propri interessi giuridici e che nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile e nei termini previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” e di una con marcato carattere difensivo che grava intorno al principio di piena accessibilità ai documenti necessitato per ragioni di piena tutela dei propri interessi. In quest’ ultimo caso grava sull’accedente un aggravato onere probatorio.

Si deve in sostanza dimostrare che a quell’attività di cognizione piena degli atti e dei procedimenti amministrativi è subordinata una difesa e tutela piena di situazioni giuridiche soggettive che appartengono alla sfera dell’ accedente. Se in estrema sintesi l’esercizio del diritto di accesso inerisce finalità difensive l’accedente è tenuto a fornire prove inconfutabili.

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di Avv. Vincenzo Lamberti

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