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Il lavoratore straniero va formato nella sua lingua


La mancata formazione dello straniero in lingua comprensibile può essere causa di infortunio o morte
Il lavoratore straniero va formato nella sua lingua

La Corte di Cassazione con la recente sentenza n.34805 del 23 luglio 2018 è tornata a pronunciarsi sul tema della responsabilità del datore di lavoro in caso di mancata formazione del lavoratore straniero che non sia stato messo in condizione di comprendere, anche e soprattutto nella sua lingua, le prescrizioni sulla sicurezza nel luogo di lavoro.

Al riguardo l’articolo 37 comma 13 del D.Lgs. 81/08 prevede che “il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”

Già in passato la Suprema Corte aveva affrontato la questione relativamente ad alcuni episodi di infortuni sul lavoro nei quali il lavoratore straniero non era stato correttamente formato sulla osservanza delle misure di sicurezza:

- Cassazione Penale, Sez.III, 3 ottobre 2016 n. 41129: caso di omessa formazione del preposto straniero che in giudizio “non riusciva nemmeno a leggere in italiano la dichiarazione d’impegno a dire la verità” e che avrebbe dovuto vigilare sull’osservanza del PIMUS che era redatto in lingua italiana;

- Cassazione Penale, Sez.IV, 8 aprile 2015 n. 14159: caso di lavoratore di nazionalità indiana: nesso di causalità tra l’omessa somministrazione da parte del datore di lavoro della formazione in una lingua comprensibile e l’infortunio;

- Cassazione Penale, Sez.IV, 1° ottobre 2013 n. 40605: caso di condanna di un datore di lavoro che avrebbe dovuto accertare se le “procedure scritte” di movimentazione consegnate ai lavoratori fossero state comprese e recepite dagli stessi e in particolare da quelli stranieri.

Orbene, con la sentenza n.34805 del 23 luglio 2018 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per omicidio colposo sia dell'amministratore delegato che del coordinatore dei lavori della società datrice di lavoro per la morte di un operaio di origine romena morto in un cantiere di Sesto Fiorentino folgorato dall'alta tensione.

L’operaio in questione, addetto alle opere di finitura esterna di un prefabbricato, era rimasto folgorato per effetto di un "arco voltaico" creatosi da una linea elettrica a 15.000 volt che attraversava il cantiere a circa dieci metri di altezza. Il lavoratore, che si trovava su una piattaforma elevabile azionata da lui stesso, si era avvicinato troppo alla linea elettrica, certamente ad una distanza inferiore a 5 metri, tenendo fra l'altro in mano un ombrello per ripararsi dalla pioggia, ombrello che, con l'umidità dell'area, aveva facilitato il passaggio della corrente elettrica e determinato la folgorazione.

Un lavoratore non formato - si legge nella sentenza 34805 del 23 luglio 2018 - tanto più se straniero, “non era usuale che leggesse il Piano Operativo di Sicurezza, e neppure sarebbe stato in grado di comprendere il significato del termine 'elettrocuzione'".. "A un lavoratore non formato sui rischi inerenti alle mansioni svolte, e privo di competenze tecniche e linguistiche, non poteva richiedersi di leggere autonomamente il piano di sicurezza e neppure il manuale d'uso del macchinario che impiega".

La Suprema Corte, quindi, confermando i giudizi di primo grado e di appello, ha spiegato che "nessuno aveva mai istruito l'operaio in ordine alla pericolosità dell'utilizzo della piattaforma elevabile in prossimità di una linea dell'alta tensione non disattivata", "né aveva mai fornito informazioni specifiche in ordine alla possibilità di venire folgorati anche senza toccare direttamente la linea elettrica ed alle condizioni nelle quali un tale pericolo si aggravava (per la umidità dell'aria o per la presenza di strumenti conduttori come l'ombrello)".

Né "si era ottemperato all'obbligo di informazione per il sol fatto che il Pos prevedeva il rischio di elettrocuzione e rimandava alla lettura del manuale d'uso della piattaforma, ove era indicata la distanza di sicurezza di almeno cinque metri da eventuali cavi elettrici". E ciò perché "un lavoratore non formato, tanto più se straniero, non era usuale che leggesse il Pos e neppure sarebbe stato in grado di comprendere il significato del termine 'elettrocuzione'". E "ad un lavoratore non formato sui rischi inerenti alle mansioni svolte, e privo di competenze tecniche e linguistiche, non poteva richiedersi di leggere autonomamente il piano di sicurezza e neppure il manuale d'uso del macchinario che impiega".

Per i giudici della Suprema Corte, pertanto, le cautele indicate erano troppo vaghe e non utili a mettere in guardia il lavoratore, non formato, dai rischi che correva, poichè al dipendente privo di competenze tecniche e linguistiche, in quanto straniero, non si può richiedere di leggere autonomamente il piano di sicurezza e neppure il manuale d'uso delle attrezzature impiegate.

Ciò che serviva invece era un'adeguata formazione e la predisposizione di dispositivi di sicurezza ad iniziare da quello che avrebbe impedito alla piattaforma di avvicinarsi più del dovuto all'alta tensione. Nessuna colpa può essere dunque attribuita al lavoratore che non è stato messo nella condizione di valutare i pericoli che corre e di valutare la pericolosità del suo comportamento.

L’informazione può essere erogata mediante diversi strumenti: opuscoli, fumetti, video, volantini, colloqui individuali o di gruppo, lezioni in aula, avvisi apposti nella bacheca aziendale, ecc … L’importante è che risulti adeguata, di facile comprensione in modo da agevolare i lavoratori con un basso tasso di scolarizzazione, e in caso di lavoratori stranieri è necessario che il datore di lavoro si accerti della reale comprensione della lingua con cui vengono fornite le informazioni.

Al datore di lavoro (ed alle figure da lui delegate) per assolvere all’obbligo di informazione non basta solamente diffondere materiale informativo. Egli deve accertarsi che le notizie fornite siano state effettivamente recepite e soprattutto deve vigilare sulla reale attuazione delle disposizioni da lui impartite, da parte dei lavoratori.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il datore di lavoro ha “il dovere di educare il lavoratore a fare uso degli strumenti di protezione e il distinto dovere di controllare assiduamente, a costo di diventare pedante, che il lavoratore abbia appreso la lezione ed abbia imparato a seguirla”.

Avv. Sigmar Frattarelli

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