Il lavoro e la formazione nelle lingue


“L’Istruzione è tutta una questione di costruire ponti” (Ralph Ellison)
Il lavoro e la formazione nelle lingue

 
“L’Istruzione è tutta una questione di costruire ponti” (Ralph Ellison)
“Si dice che il tempo cambia le cose, ma in realtà devi essere tu stesso a cambiarle”
(Andy Worhol)
“Imparare a conoscere la lingua, la storia, la cultura, le abitudini, i pregiudizi e gli stereotipi, le paure delle diverse comunità conviventi è un passo essenziale nel rapporto interetnico..."
(Alex Langer)

È opportuno avere un'istruzione sufficiente se ci preoccupiamo di colmare i divari tra dove siamo oggi e dove vogliamo essere in futuro, che siamo azienda o professionista o dipendente.

Il ponte è la relazione, è simbolo di reciprocità, la sostanziale struttura esistenziale in quanto si attraversa nei due sensi, aiuta a superare ciò che separa luoghi prossimi, ostacoli naturali, apre alla novità dell’altro mettendo in relazione due realtà, il suo attraversamento aiuta a superare le fratture che separano una società, i popoli, la diffidenza o le lacerazioni pregiudiziali, assegna alle realtà in dialogo pari dignità.
 
“Scambiare messaggi vincenti” è comunicazione volontaria, programmata, consapevole di scambiare messaggi per perseguire il proprio fine. Chi lavora a qualsiasi livello necessita questo tipo di formazione o supporto, non si tratta di tradurre una serie di termini ma di trasmettere informazioni.

Preoccuparsi di far comprendere la necessità di migliorarsi e formare i propri dipendenti, siano essi italiani o stranieri, dà loro non solo l’opportunità di crescere ma di lavorare meglio e aumentare la motivazione contribuendo al trend positivo dell’azienda. I corsi di formazione possono essere a costo zero grazie ai fondi accantonati presso gli enti bilaterali (ce ne sono di molti tipi).

La crescita dell’individuo, che fa parte degli stockholder dell’azienda, costituisce una fidelizzazione del dipendente: se sta bene nel proprio lavoro porterà solo profitto all’azienda.

Ci sono 3 aspetti da considerare e valorizzare per l’individuo e per l’azienda: specializzazione e ambizione, formazione (formale e non), esperienze e competenze professionali = progettualità, coerenza e competenze, cioè: la necessità di costruire con coerenza un percorso di crescita formativa professionale, facendo sì che il collaboratore lavori con impegno costante all’acquisizione di hard skills (tutte quelle competenze tecniche che si acquisiscono grazie all'esperienza maturata durante il percorso scolastico e sul posto di lavoro) altamente specialistiche e frutto di studio, ripetizione e pratica, fondamentali per la crescita lavorativa e il raggiungimento degli obiettivi professionali e aziendali.

Rif. PROGETTUALITA’ > La progettualità a volte è assente e gli incarichi professionali risultano molto ampi, i giovani solo raramente hanno idee precise sulla propria figura professionale e sulla specializzazione ambita, dopo circa 18 anni trascorsi in percorsi di istruzione e circa 23 anni di vita vissuta, l’azienda metterà a frutto quelle competenze e sarà di supporto in tal senso

Rif. COERENZA > Alcuni collaboratori vengono scelti nonostante non conoscano nulla di una data specializzazione, lontani da quanto studiato precedentemente. Nulla di male se non fosse che la causalità della scelta da parte dell’azienda comporta dispersione di energie, perché nonostante la volontà di orientarsi all’interdisciplinarità, potrebbe rendere la loro preparazione superficiale

Rif. COMPETENZE > Dalle esperienze di lavoro e tirocinio svolte, dal faticare a comprendere e valutare le competenze professionali acquisite, il loro valore aggiunto, derivano difficoltà anche all’approccio mentale che taluni collaboratori possono avere verso l’azienda e la loro carriera all’interno di essa, approccio plasmato da percorsi che troppo spesso chiudono le menti piuttosto che aprirle. 

Quando l’azienda promuove un servizio o un prodotto, manda presso un suo cliente un tecnico o un team di tecnici a rappresentarla, questi non si preoccuperanno solamente di riparare o sostituire o istruire su un macchinario ma trasmetteranno l’importanza di tale intervento e, dunque, daranno tutti gli strumenti necessari ed accessori nel buon nome dell’azienda ed in sintonia con essa. La consapevolezza da parte dell’operatore dell’importanza per l’azienda del suo intervento, lo spingerà ad avere ogni premura per il cliente e per l’azienda stessa.

Nella comunicazione aziendale, “vincere” significa condividere il proprio punto di vista sull’organizzazione dell’azienda, sulle priorità strategiche, sui metodi di progettazione e produzione, sulle prospettive di commercializzazione, sui prezzi da spuntare (ecc.) con il proprio personale affinché ne abbia la consapevolezza e se ne senta parte. L’azienda ascolta, considera, apprezza, accetta il i suggerimenti, le opinioni che le giungono dal personale in quanto manifestano sostegno e partecipazione che conducono al progresso delle attività aziendali.

La dicotomia tra comunicazione ed espressione è nella differenza tra le due nozioni, mentre nella “comunicazione” il nostro tecnico crea un messaggio per il nostro cliente, nell’ “espressione” parla o scrive informazioni corrette ed utili su quel prodotto o servizio.
 
Nella comunicazione interculturale, il nostro tecnico ed il nostro cliente seguono le regole e i valori della cultura da cui provengono; il “tempo” è una variabile culturale e crea significativi problemi in questo tipo di comunicazione; l’”argomento” comporta qualche rischio perché gli interlocutori possono dimenticare che i valori dell’emittente e del ricevente del messaggio possono non essere sempre condivisi nelle varie culture; il “ruolo dei partecipanti” è un altro elemento di difficoltà in quanto in ogni cultura lo status sociale viene attribuito e mantenuto secondo valori e regole proprie, spesso fortemente distanti, o addirittura contrastanti, nelle diverse culture; i “messaggi extralinguistici”, di solito in inglese internazionale, le norme linguistiche possono essere condivise e proprio sulla lingua si focalizzano l’attenzione e lo sforzo di chi parla (per es. cercare il lessico appropriato, evitare errori grossolani)  mentre le norme dei linguaggi non verbali non sono prese in considerazione, quasi che i gesti, la mimica facciale e le distanze interpersonali fossero dei concetti universali; “scopi dichiarati e non” che i partecipanti perseguono, messaggi vincenti nella misura in cui questi scopi pragmatici sono raggiunti. Le varie culture regolano in maniera diversa il modo in cui si possono rendere espliciti certi scopi, si tratta di regole che coinvolgono valori fortemente marcati come la gerarchia, lo status, il rapporto uomo-donna, il modo di velare o enfatizzare gli scopi cambia da cultura a cultura (così come all’interno della stessa cultura, della stessa famiglia, spesso uomo e donna si dicono “E’ solo che non mi capisci” a causa del modo femminile di velare i propri scopi e i desideri, contrapposto al modo proprio dell’uomo che li mette in luce); “atteggiamenti psicologici”, sono delle “chiavi” tra gli interlocutori, tra le loro culture, delle loro aziende o istituzioni: sarcasmo, ironia, rispetto, ammirazione, diffidenza, emergono nel linguaggiverbale e non verbale, per cui informano l’interlocutore su atteggiamenti che certo non si vorrebbero comunicare. Ciò dà luogo a fraintendimenti, a imbarazzo e difficoltà che per esempio negli asiatici si esprimono con un sorriso, che l’occidentale prende come indicatore di positività e disponibilità; “la grammatica contestuale” include il concetto di sequenza prevista per un dato evento, che in alcune culture può essere ritualizzata o abbastanza rigida e prevedibile, mentre in altre porta ad avere una maggiore flessibilità, ne consegue che chi viene da una cultura del primo tipo ha la sensazione di trovarsi nelle sabbie mobili, nell’incapacità di gestire l’evento. Ci sono eventi particolarmente ritualizzati (una cena formale, una conferenza, una riunione di un consiglio d’amministrazione, una presentazione) che ogni cultura gestisce secondo regole proprie, la cui mancata conoscenza porta a situazioni spiacevoli in cui la comunicazione viene fortemente appesantita e, in alcuni casi, diviene impossibile.

Alcuni eventi possono richiedere mesi, come alcune operazioni commerciali (dalla visita in fiera alla ricevuta di pagamento, passando attraverso preventivi, ordinativi, fatture pro-forma e avvenuta vendita, lettere di addebito e accredito, eventuali reclami o giustificazioni): maggiore è la durata dell’evento, più probabile è l’errore involontario, o lo scontro deliberato, sul piano culturale.La consuetudine e l’attenzione precisa consentono a persone che frequentano ambiti internazionali di cogliere il continuo variare degli argomenti di uso libero e di quelli tabù. Ogni cultura ha dei tabù noti e ne ha altri che mutano rapidamente: ad esempio, gli stessi italiani non si rendono conto di quanto sia tabù nella nostra cultura l’accenno alle cure psicologiche: il consiglio di andare da uno psicologo o da uno psicoanalista viene sentito come offesa, significa “sei matto!”; l’italiano del nord cui uno straniero chiede qualcosa sulla mafia esorcizza anzitutto il problema (“Primo, la mafia in Sicilia; secondo: sono tutti in galera, ce la faremo”) e poi cambia discorso. Allo stesso modo, un inglese rimesta in ogni torbidume della Royal family ma reagisce se lo fa un non-inglese (soprattutto se lo fa un americano, cui ribatte elencando le segretarie e le stagiste di certi Presidenti); il cenno al passato comunista dell’Europa orientale oppure al fascismo attuato in un certo Paese è delicatissimo perché molte delle persone che oggi hanno contatti con stranieri da posizioni manageriali ed accademiche elevate hanno una storia personale in quei regimi e quindi la semplice battuta di un italiano, a tavola, per riempire un silenzio, può essere vissuta molto male dall’interlocutore. Altre volte ci sono tabù incomprensibili per alcuni: da quello delle carezze in testa a un bambino nelle Filippine, che fanno passare l’italiano affettuoso per un pedofilo incallito, a quello che riguarda la riservatezza degli europei sulla propria famiglia, atteggiamento che non è compreso dai giapponesi per i quali la famiglia di provenienza  rappresenta la credenziale base di una personalità (informarsi sulla famiglia dell’interlocutore, sui figli, sull’eventuale divorzio di qualche familiare).

Tre tabù da ritenere universali (anche se vi sono eccezioni) sono eros e thanatos, cioè i discorsi riguardanti il sesso e la morte, e quelli sulle secrezioni del corpo (sudore, muco, cerume, sperma, urina, feci, vomito); ma anche i discorsi sulla digestione e sui sentimenti personali vanno considerati tabù nelle culture di origine inglese.

Una volta commesso un grave ‘errore culturale’ risulta spesso impossibile porvi rimedio e possono passare mesi prima che ci si renda conto che rifiuti gentili significano in realtà isolamento e messa al bando.

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di Barbara Cupiti

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