Il made in Italy a tutela rafforzata
Tutela del commercio e dei prodotti italiani dalla contraffazione
Con la sentenza n. 54521 del 22 dicembre 2016 la Cassazione ha sottolineato il discrimen applicativo tra il reato previsto dall’art. 4 co. 49 L. n. 350 del 2003 e l’illecito amministrativo previsto dall’art. 4 co. 49 bis della stessa legge. Si tratta genericamente della tutela del made in Italy, l’intento del nostro legislatore infatti è quello di tutelare i prodotti dell’industria e del commercio italiano dalle frodi perpetrate quotidianamente nei confronti del consumatore medio.
È importante comprendere le differenze tra le due fattispecie, in quanto l’applicazione dell’una o dell’altra determina un diverso trattamento sanzionatorio.
Si configura il reato ex art. 4 co.49 L. n. 350 del 2003 quando attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni e figure, il consumatore è indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana, mentre rientra nella fattispecie illecita ex art. 4 co. 49 bis della stessa legge, qualora a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise, ma non ingannevoli, il consumatore è indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti.
La Suprema Corte ha tuttavia individuato quattro tipologie di condotte che integrano il reato di cui al comma 49, in particolare assume penale rilevanza la condotta realizzata:
1) mediante la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine che integra la fattispecie di "falsa indicazione" dell’origine ed è punibile ai sensi dell’art. 517 c.p.
2) mediante l’utilizzo di un’etichetta del tipo "100% made in Italy", "100% Italia", "tutto italiano" o "full made in Italy", per contrassegnare prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati nel nostro Paese, costituendo ipotesi aggravata di "falsa indicazione" dell’origine del bene.
3) Mediante l’uso di segni, figure e quant’altro che induca il consumatore a ritenere, anche in presenza dell’indicazione dell’origine o provenienza estera della merce, che il prodotto sia di origine italiana, trattandosi in altri termini dei casi in cui sul prodotto sono apposti segni e figure tali da oscurare, fisicamente e simbolicamente, l’etichetta relativa all’origine, rendendola di fatto poco visibile e non individuabile ictu oculi.
4) Mediante l’uso ingannevole del marchio aziendale da parte dell’imprenditore titolare o licenziatario, in modo da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana.
Nel caso attenzionato dalla Suprema Corte, i giudici di merito avevano ravvisato l’illecito penale ex art. 4 co. 49, in quanto i beni che provenivano dalla Cina, erano prive di etichetta indicativa della loro provenienza, vi erano apposti inoltre, la bandiera italiana e l’indicazione di un marchio registrato, mentre gli ukulele avevano, sulle corde armoniche, l’indicazione "Made in Italy"; di conseguenza l’indicazione del marchio, a cui si accompagna la presenza della bandiera italiana, è idonea a trarre in inganno il consumatore sull’effettiva origine, fattispecie rientrante nella previsione dell’art. 4 co. 49 della L. n. 350 del 2003.
È importante comprendere le differenze tra le due fattispecie, in quanto l’applicazione dell’una o dell’altra determina un diverso trattamento sanzionatorio.
Si configura il reato ex art. 4 co.49 L. n. 350 del 2003 quando attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni e figure, il consumatore è indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana, mentre rientra nella fattispecie illecita ex art. 4 co. 49 bis della stessa legge, qualora a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise, ma non ingannevoli, il consumatore è indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti.
La Suprema Corte ha tuttavia individuato quattro tipologie di condotte che integrano il reato di cui al comma 49, in particolare assume penale rilevanza la condotta realizzata:
1) mediante la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine che integra la fattispecie di "falsa indicazione" dell’origine ed è punibile ai sensi dell’art. 517 c.p.
2) mediante l’utilizzo di un’etichetta del tipo "100% made in Italy", "100% Italia", "tutto italiano" o "full made in Italy", per contrassegnare prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati nel nostro Paese, costituendo ipotesi aggravata di "falsa indicazione" dell’origine del bene.
3) Mediante l’uso di segni, figure e quant’altro che induca il consumatore a ritenere, anche in presenza dell’indicazione dell’origine o provenienza estera della merce, che il prodotto sia di origine italiana, trattandosi in altri termini dei casi in cui sul prodotto sono apposti segni e figure tali da oscurare, fisicamente e simbolicamente, l’etichetta relativa all’origine, rendendola di fatto poco visibile e non individuabile ictu oculi.
4) Mediante l’uso ingannevole del marchio aziendale da parte dell’imprenditore titolare o licenziatario, in modo da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana.
Nel caso attenzionato dalla Suprema Corte, i giudici di merito avevano ravvisato l’illecito penale ex art. 4 co. 49, in quanto i beni che provenivano dalla Cina, erano prive di etichetta indicativa della loro provenienza, vi erano apposti inoltre, la bandiera italiana e l’indicazione di un marchio registrato, mentre gli ukulele avevano, sulle corde armoniche, l’indicazione "Made in Italy"; di conseguenza l’indicazione del marchio, a cui si accompagna la presenza della bandiera italiana, è idonea a trarre in inganno il consumatore sull’effettiva origine, fattispecie rientrante nella previsione dell’art. 4 co. 49 della L. n. 350 del 2003.
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