Il manager del futuro dovrà eccellere in più discipline, come Leonardo


Il mercato richiede competenze multidisciplinari o specialistiche? E’ la domanda che ci poniamo ogni giorno.
Il manager del futuro dovrà eccellere in più discipline, come Leonardo

 

Giulio Xhaët, imprenditore, formatore e divulgatore analizza e racconta uno studio svolto da Wagas Amhmed su quale siano le competenze necessario per essere un ottimo leader.

Chi è Wagas Ahmed?

Wagas Ahmed ha origini musulmane, ma è nato e cresciuto a Londra. 

È il direttore artistico e curatore della Collezione Khalili, una delle più rinomate al mondo. 

Corrispondente giornalistico, ha collaborato con l’Unesco, il Commonwealth e il Vaticano. Ha vissuto in diverse nazioni dell’Europa, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia del sud.

Il suo primo libro, Polymath, è il compendio di cinque anni intrecciati tra assiduo lavoro, studio e viaggi. Come altri ricercatori, Ahmed è convinto che i migliori innovatori e i manager «a prova di futuro» abbiano una mentalità votata alla polimatia.

Cosa è la Polimatia?

Polymath proviene dal greco polymathes (“che ha imparato molto”) a sua volta derivante dalla fusione di polys (“tanto”) e (manthanein, “imparare”). Il polymath è colui che eccelle in più discipline e le sa unire per produrre cambiamenti in più campi.

Il più famoso e celebrato polymath di tutti tempi è stato Leonardo Da Vinci:

un vero e proprio archetipo.

Basti pensare che per «assemblare un Leonardo», oggi avremmo bisogno di 13 differenti specialisti!

Secondo Ahmed ogni essere umano ha il potenziale per diventare polymath. 

«Cresciamo con l’idea che dedicarsi in modo esclusivo a un aspetto frammentato della vita sia l’unico modo per perseguire l’identità, una carriera, o persino un sostentamento. Chi ci costringe? Genitori, istituzioni educative, datori di lavoro, governi e la società stessa, che si è evoluta per perpetuare l'iper specializzazione nelle aree della vita».

Un tempo l’interdisciplinarietà era la norma, non l’eccezione.

Gli specialisti che decidevano di studiare e praticare un'unica disciplina per tutta la vita erano una minoranza. 

Le origini filosofiche della specializzazione sono relativamente recenti: Cartesio racconta come la vastità della conoscenza ingestibile nel suo insieme, introdusse una tendenza verso la specializzazione intellettuale.

Le sue idee vennero raccolte con entusiasmo dagli illuministi. In particolare, l’Encyclopedie di Denis Diderot e Jean Baptiste D’Alembert, uscita tra il 1751 e il 1756, mostrò come fosse possibile suddividere il sapere in settori separati tra loro, definendo perimetri tra le discipline.

In parallelo, la prima rivoluzione industriale creò la necessità di professionisti specialisti in grado di produrre e far funzionare le prime macchine per il lavoro, come la macchina a vapore, l’invenzione dell’elettricità e dei prodotti chimici nella seconda rivoluzione industriale.

MA OGGI HA ANCORA SENSO ESSERE IPER-SPECIALIZZATI?

Nell’era dei big data digitali e degli algoritmi, che cercano di codificare qualsiasi informazione (comprese discipline, culture e le persone stesse) in scatole comprensibili dall’intelligenza artificiale. 

Eppure, come dichiara Anders Sandberg, ricercatore al Future of Humanity Institute di Oxford: 

«Le istituzioni educative devono smettere di formare le persone come ingranaggi di una macchina dell’era industriale, anche perché le macchine saranno molto più economiche. Dovrebbero formare le persone per affrontare lavori più complessi e poco definiti (…) I lavori che possono essere definiti con precisione sono minacciati dalle macchine. I lavori attualmente sicuri sono quelli difficili da definire».

La contaminazione di saperi, discipline e culture è una risorsa tangibile anche per la società odierna.

Nel mondo odierno si tende a polarizzare opinioni e spesso porta alla crescita dell’odio, in particolare sui social media: una discussione tra due polymath ha molte più probabilità di risultare fruttuosa rispetto che tra due iper-specialisti. 

Se privi di ecletticità finiamo col castrare l’apertura mentale, con l’unico interesse a difendere la propria posizione, mai a metterla in gioco. Per questo, abbiamo così tanto bisogno di riscoprire le nostre origini interdisciplinari. La contaminazione non è più una possibilità, è un’urgenza.

E tu cosa ne pensi?

Articolo del:


di Mauro Dotta

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