Il mobbing come malattia professionale


Il mobbing riconosciuto come malattia professionale, nelle cd “malattie non tabellate”, è indennizzato dall’INAIL
Il mobbing come malattia professionale
Il mobbing riconosciuto come malattia professionale, nelle cd "malattie non tabellate", è indennizzato dall’INAIL.
La Circolare n. 71 del 17 dicembre 2003 dell’INAIL prevede, in materia di disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro e conseguente diagnosi di malattia professionale, un elenco di situazioni di "costrittività organizzativa" più ricorrenti tra le cui voci si rileva:
a) ripetuti trasferimenti ingiustificati;
b) esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.

Il nuovo elenco delle malattie professionali di cui al D.M. 27/04/04 indica tre liste di malattia di probabile origine lavorativa e nella lista II si evidenzia al punto 4 la voce Disfunzioni della organizzazione del lavoro: malattie psichiche e psicosomatiche derivanti da costrittività organizzativa quali disturbo dell'adattamento cronico e stress.

La posizione assunta dall'INAIL sul tema delle patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro trova il suo fondamento giuridico nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4), in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite Tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa.

La nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative.
I disturbi psichici possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell'attività e della organizzazione del lavoro.
Si ritiene che tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, cd "costrittività organizzativa".

Le situazioni di "costrittività organizzativa" più ricorrenti sono:
- marginalizzazione dell’attività lavorativa;
- svuotamento delle mansioni;
- mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata;
- mancata assegnazione degli strumenti di lavoro;
- ripetuti trasferimenti ingiustificati;
- prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
- prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici;
- impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie;
- inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;
- esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale;
- esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.

Va precisato che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di "costrittività organizzativa" di cui all'elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili.
Le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.

Come per tutte le altre malattie non tabellate, l'assicurato ha l'obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la propria richiesta per quanto concerne sia il rischio sia la malattia.
L'Istituto, da parte sua, ha il potere-dovere di verificare l'esistenza dei presupposti dell'asserito diritto, anche mediante l'impegno partecipativo nella ricostruzione degli elementi probatori del nesso eziologico.
L'art. 2087 c.c. è la vera e propria norma chiave del sistema di tutela della sicurezza del lavoratore che per il suo ampio contenuto e per le finalità perseguite offre un solido punto di appoggio alla configurazione del mobbing come illecito e per la sua repressione.

Secondo il succitato articolo il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro, all'esperienza e alla tecnica, risultano idonee a proteggere l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Ne discende la necessità di adottare una definizione flessibile e dall'altro lato l'esigenza di non dimenticare che al centro del sistema risarcitorio si pone il lavoratore molestato che deve dimostrare la violazione della clausola generale di responsabilità ex art. 2087 c.c.

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di Avv. Giulia Antonella Cannavale

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