Il “nuovo” assegno divorzile: addio al tenore di vita
Come è noto, la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha costituto un vero e proprio cambio di rotta nei criteri di riconoscimento e di quantificazione dell’assegno divorzile, componendo il contrasto venutosi a creare tra lo storico e consolidato orientamento – secondo cui al coniuge avente diritto andava garantito un assegno tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio – e l’orientamento più recente, affermatosi dopo la sentenza della Corte di cassazione n. 11504 del 2017, secondo cui andava negato il riconoscimento dell’assegno divorzile al richiedente che fosse economicamente autosufficiente (in tal senso si veda anche la sentenza n. 23602/2017).
L’intervento delle Sezioni Unite nella composizione del conflitto è stato orientato a riaffermare il principio di solidarietà post-coniugale, agganciato ai parametri costituzionali ex artt. 2 e 29 Cost., contemporaneamente fornendo, però, gli strumenti interpretativi atti ad evitare l’applicazione di qualsiasi automatismo nell’attribuzione e nella determinazione dell’assegno divorzile, slegandolo sia dal criterio del tenore di vita (cfr. Cass., SU, n. 11490 del 1990) che da quello dell’autosufficienza (cfr. Cass. n. 11504 del 2017).
In sostanza, la linea interpretativa della sentenza delle Sezioni Unite si sintetizza nei seguenti punti:
1. definitivo abbandono di entrambi i criteri elaborati sulla base dei precedenti orientamenti tra di loro contrastanti (tenore di vita ed autosufficienza economica del richiedente);
2. abbandono della rigida distinzione tra natura attributiva e determinativa dei criteri richiamati dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, in favore di una interpretazione costituzionalmente orientata fondata sugli art. 2, 3 e 29 della Costituzione;
3. riconoscimento della natura composita dell’assegno divorzile: assistenziale e perequativa /compensativa;
4. riconoscimento della posizione equiordinata dei criteri previsti all’art. 5, sesto comma, della Legge n. 898/1970;
5. abbandono di una concezione astratta del criterio “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione volta a contestualizzare tale criterio nella specifica vicenda coniugale;
6. necessità della valutazione dell’intera storia coniugale e di una prognosi futura che tenga conto delle condizioni dell’avente diritto all’assegno (in base all’età e allo stato di salute etc.) e della durata del matrimonio;
7. importanza del profilo perequativo-compensativo dell’assegno e necessità di un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell’avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.
Il giudice dovrà, quindi, procedere come segue:
1. accertare e comparare, anche utilizzando i suoi poteri ufficiosi, le condizioni economico-patrimoniali delle parti;
2. ove risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente o, comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, ne deve accertare rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, indagando, in particolare, se la sperequazione eventualmente accertata sia diretta conseguenza del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ognuno dei coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso ed alla durata del matrimonio;
3. da ultimo, dovrà quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.
In conformità ai nuovi criteri interpretativi fissati dalle S.U. del 2018, in una recente sentenza (Cass. n. 21228/2019) gli Ermellini hanno avuto modo di esprimere il seguente principio di diritto:
"Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita famigliare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza economica del coniuge non autosufficiente, intendendo l’autosufficienza in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza, ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti, a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato, in funzione di contribuzione ai bisogni della famiglia, a realistiche occasioni professionali-reddituali, attuali o potenziali, rimanendo in ciò assorbito, in tal caso, l’eventuale profilo assistenziale".
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