Il problema della vulnerabilità sismica in Italia
La valutazione del rischio sismico riferita ad una determinata area è legata alla stima di: pericolosità, vulnerabilità ed esposizione
La valutazione della vulnerabilità sismica degli edifici è un problema rilevante per l’Italia perché il territorio italiano è, praticamente da sempre, quasi totalmente a rischio sismico. L’Italia si trova infatti nella zona di contatto tra due placche, quella euroasiatica, di cui fa parte, e quella africana; ne consegue che a causa dell’elasticità meccanica delle placche stesse tende ad accumularsi un grande quantitativo di energia durante il mutuo sfregamento e alla compressione delle placche lungo la linea di faglia.
Quando vengono raggiunte le tensioni di rottura l’energia accumulatasi viene liberata e si propaga fino in superficie dando luogo ai terremoti.
Questo aspetto è aggravato dalla "fragilità" del patrimonio edilizio costruito quasi totalmente prima del 1974 anno in cui viene emanata legge n.64 "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche" con la quale si è iniziato a prendere in considerazione l’aspetto sismico.
Il livello di antropizzazione ha avuto un notevole incremento a partire dalle ricostruzioni iniziate subito dopo il dopoguerra con un vero e proprio boom negli anni ’60; al fatto che nessuna norma prevedesse una progettazione per azioni sismiche, si aggiunge che l’edificazione non è stata accompagnata da un’adeguata pianificazione del territorio dando così spazio a fenomeni di abusivismo edilizio che certamente sono causa di un maggior rischio diffuso sul territorio.
Vale la pena spendere ancora qualche parola sull’evoluzione normativa italiana per quanto concerne la sismicità dei luoghi. Il territorio nazionale italiano non è sempre stato considerato a rischio sismico; la classificazione a cui si è pervenuti con il D.M. del 14.01.2008 è il frutto di numerose variazioni che hanno avuto inizio a partire dalla legge n.64 del 02.02.1974, precedentemente a tale legge, dal punto di vista normativo venivano definite sismiche solo quelle aree in cui era già avvenuto un evento sismico considerando quindi la maggior parte del territorio nazionale come non sismico.
Esempio eclatante in questo senso è stato il terremoto di San Giuliano di Puglia (CB), terremoto tristemente noto per la tragedia della scuola Francesco Jovine dove persero la vita 27 bambini e una insegnante. Pur ricadendo tra regioni caratterizzate da sismicità storica significativa, quali il promontorio del Gargano e la dorsale appenninica molisana, la zona colpita dagli eventi del 31 ottobre e del 1 novembre 2002 non era stata interessata da terremoti significativi ed anche la sismicità registrata dalla rete sismica nazionale dell’INGV era molto limitata. La maggior parte delle località che subirono danni non erano classificate dal punto di vista sismico. È a seguito di questa vicenda che viene posta l’attenzione sulla classificazione sismica del nostro Paese e si decide di lavorare per prepararne rapidamente una nuova partendo dalla proposta di riclassificazione sismica del territorio italiano (1998) a cura del Gruppo di Lavoro ING-GNDT-SSN costituito dalla Commissione Nazionale di Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi. Questa fase porta a due importanti risultati: alla classificazione del 2003 (Ordinanza PCM n.3274/2003) che elimina per sempre la dicitura "NON CLASSIFICATO" e classifica quindi tutti i Comuni italiani come sismici con valori di pericolosità da bassa ad alta (da zona 4 a zona 1). La fase finale di questo processo ha poi portato alla Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale che individua le aree dove ci si possono attendere scuotimenti sismici di diversa forza, in qualsiasi momento e quindi anche in assenza di sequenze sismiche. Tale mappa è tuttora lo strumento più efficace che la comunità scientifica mette a disposizione per le politiche di prevenzione con la definizione di un reticolo i cui vertici presentano caratteristiche di sismicità locale, puntuale, superando il limite delle classificazioni omogenee per territori comunali. In quest'ultima classificazione non esistono zone non sismiche, ma solo eventualmente a ridotta sismicità (Sardegna ad esempio).
Trattandosi di una linea di frattura il territorio italiano certamente non deficita per attività sismica: siamo interessati da terremoti di medio-bassa intensità con un periodo di ritorno molto breve e ciò consente la graduale liberazione delle energie potenziali accumulate. Eppure i due eventi più significativi in Italia sono stati il sisma del Friuli 1976, magnitudo 6.4, e dell’Irpinia nel 1980, magnitudo 6.9 per un totale di 3903 morti di cui solo 2914 con il sisma che colpì la Campania. Comprendiamo bene che questi eventi sono stati disastrosi non solo per la magnitudo ma anche per la "fragilità" del patrimonio edilizio italiano soprattutto se raffrontiamo il territorio nostrano al Giappone.
Il Giappone è un territorio soggetto a frequenti terremoti di elevata intensità; dal 2010 ad oggi è stato colpito da una serie di terremoti di magnitudo superiore a 7, per un totale di 14 vittime, escludendo il sisma eccezionale di Marzo del 2011 che ha causato 16.000 vittime dovute soprattutto allo tsunami generatosi.
Questo dato ci fa comprendere quanto le perdite in termini di vite umane siano strettamente dovute più che all’evento sismico in sé alla vulnerabilità del costruito.
Alla vulnerabilità del sistema edilizio si somma un altro aspetto importante, magari banale, ma che è bene sottolineare: il sisma non è un evento prevedibile.
Ad oggi non ci sono mezzi che consentano di individuare dove, quando e con quale intensità si verifichi un evento sismico; sono possibili solo valutazioni probabilistiche sul periodo di ritorno e sull’intensità del sisma basate sullo studio storico degli eventi pregressi verificatisi in una determinata area.
Tenuto conto, quindi, dei concetti fin ora esposti, cioè che il territorio italiano è ad elevata pericolosità sismica ed il patrimonio edilizio è vulnerabile e dell’assoluta imprevedibilità degli eventi sismici, è evidente che l’unica via percorribile è quella della prevenzione intesa come la riduzione della vulnerabilità delle costruzioni per diminuire il rischio sismico.
A questo punto per rendere ancora più fruibili i concetti esposti sarà bene chiarire cosa si intende quando si parla di "rischio sismico". Il rischio è la stima delle perdite complessive (vite umane, beni economici, volume edilizio, valori culturali) che a causa di un evento sismico interessano una determinata area per un certo periodo di tempo. La valutazione del rischio sismico riferita ad una determinata area è legata alla stima di tre parametri fondamentali: la pericolosità, la vulnerabilità e l’esposizione.
La pericolosità sismica è dipendente dalle caratteristiche dell’evento fisico, dalle caratteristiche geologiche e da fenomeni locali dell’area nella quale l’evento si manifesta. La vulnerabilità è definita come la suscettibilità di una struttura a subire danni a causa di un dato terremoto; i danni possono portare ad una momentanea perdita di funzionalità o ad una totale irrecuperabilità del manufatto edilizio.
L’esposizione è, infine, riferita alla natura, alla qualità e alla quantità dei beni interessati direttamente ed indirettamente da un evento sismico.
Fare prevenzione comporta soprattutto una variazione di modalità di pensiero: la consapevolezza dei rischi è il primo ed indispensabile elemento di una azione di prevenzione efficace.
Quando vengono raggiunte le tensioni di rottura l’energia accumulatasi viene liberata e si propaga fino in superficie dando luogo ai terremoti.
Questo aspetto è aggravato dalla "fragilità" del patrimonio edilizio costruito quasi totalmente prima del 1974 anno in cui viene emanata legge n.64 "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche" con la quale si è iniziato a prendere in considerazione l’aspetto sismico.
Il livello di antropizzazione ha avuto un notevole incremento a partire dalle ricostruzioni iniziate subito dopo il dopoguerra con un vero e proprio boom negli anni ’60; al fatto che nessuna norma prevedesse una progettazione per azioni sismiche, si aggiunge che l’edificazione non è stata accompagnata da un’adeguata pianificazione del territorio dando così spazio a fenomeni di abusivismo edilizio che certamente sono causa di un maggior rischio diffuso sul territorio.
Vale la pena spendere ancora qualche parola sull’evoluzione normativa italiana per quanto concerne la sismicità dei luoghi. Il territorio nazionale italiano non è sempre stato considerato a rischio sismico; la classificazione a cui si è pervenuti con il D.M. del 14.01.2008 è il frutto di numerose variazioni che hanno avuto inizio a partire dalla legge n.64 del 02.02.1974, precedentemente a tale legge, dal punto di vista normativo venivano definite sismiche solo quelle aree in cui era già avvenuto un evento sismico considerando quindi la maggior parte del territorio nazionale come non sismico.
Esempio eclatante in questo senso è stato il terremoto di San Giuliano di Puglia (CB), terremoto tristemente noto per la tragedia della scuola Francesco Jovine dove persero la vita 27 bambini e una insegnante. Pur ricadendo tra regioni caratterizzate da sismicità storica significativa, quali il promontorio del Gargano e la dorsale appenninica molisana, la zona colpita dagli eventi del 31 ottobre e del 1 novembre 2002 non era stata interessata da terremoti significativi ed anche la sismicità registrata dalla rete sismica nazionale dell’INGV era molto limitata. La maggior parte delle località che subirono danni non erano classificate dal punto di vista sismico. È a seguito di questa vicenda che viene posta l’attenzione sulla classificazione sismica del nostro Paese e si decide di lavorare per prepararne rapidamente una nuova partendo dalla proposta di riclassificazione sismica del territorio italiano (1998) a cura del Gruppo di Lavoro ING-GNDT-SSN costituito dalla Commissione Nazionale di Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi. Questa fase porta a due importanti risultati: alla classificazione del 2003 (Ordinanza PCM n.3274/2003) che elimina per sempre la dicitura "NON CLASSIFICATO" e classifica quindi tutti i Comuni italiani come sismici con valori di pericolosità da bassa ad alta (da zona 4 a zona 1). La fase finale di questo processo ha poi portato alla Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale che individua le aree dove ci si possono attendere scuotimenti sismici di diversa forza, in qualsiasi momento e quindi anche in assenza di sequenze sismiche. Tale mappa è tuttora lo strumento più efficace che la comunità scientifica mette a disposizione per le politiche di prevenzione con la definizione di un reticolo i cui vertici presentano caratteristiche di sismicità locale, puntuale, superando il limite delle classificazioni omogenee per territori comunali. In quest'ultima classificazione non esistono zone non sismiche, ma solo eventualmente a ridotta sismicità (Sardegna ad esempio).
Trattandosi di una linea di frattura il territorio italiano certamente non deficita per attività sismica: siamo interessati da terremoti di medio-bassa intensità con un periodo di ritorno molto breve e ciò consente la graduale liberazione delle energie potenziali accumulate. Eppure i due eventi più significativi in Italia sono stati il sisma del Friuli 1976, magnitudo 6.4, e dell’Irpinia nel 1980, magnitudo 6.9 per un totale di 3903 morti di cui solo 2914 con il sisma che colpì la Campania. Comprendiamo bene che questi eventi sono stati disastrosi non solo per la magnitudo ma anche per la "fragilità" del patrimonio edilizio italiano soprattutto se raffrontiamo il territorio nostrano al Giappone.
Il Giappone è un territorio soggetto a frequenti terremoti di elevata intensità; dal 2010 ad oggi è stato colpito da una serie di terremoti di magnitudo superiore a 7, per un totale di 14 vittime, escludendo il sisma eccezionale di Marzo del 2011 che ha causato 16.000 vittime dovute soprattutto allo tsunami generatosi.
Questo dato ci fa comprendere quanto le perdite in termini di vite umane siano strettamente dovute più che all’evento sismico in sé alla vulnerabilità del costruito.
Alla vulnerabilità del sistema edilizio si somma un altro aspetto importante, magari banale, ma che è bene sottolineare: il sisma non è un evento prevedibile.
Ad oggi non ci sono mezzi che consentano di individuare dove, quando e con quale intensità si verifichi un evento sismico; sono possibili solo valutazioni probabilistiche sul periodo di ritorno e sull’intensità del sisma basate sullo studio storico degli eventi pregressi verificatisi in una determinata area.
Tenuto conto, quindi, dei concetti fin ora esposti, cioè che il territorio italiano è ad elevata pericolosità sismica ed il patrimonio edilizio è vulnerabile e dell’assoluta imprevedibilità degli eventi sismici, è evidente che l’unica via percorribile è quella della prevenzione intesa come la riduzione della vulnerabilità delle costruzioni per diminuire il rischio sismico.
A questo punto per rendere ancora più fruibili i concetti esposti sarà bene chiarire cosa si intende quando si parla di "rischio sismico". Il rischio è la stima delle perdite complessive (vite umane, beni economici, volume edilizio, valori culturali) che a causa di un evento sismico interessano una determinata area per un certo periodo di tempo. La valutazione del rischio sismico riferita ad una determinata area è legata alla stima di tre parametri fondamentali: la pericolosità, la vulnerabilità e l’esposizione.
La pericolosità sismica è dipendente dalle caratteristiche dell’evento fisico, dalle caratteristiche geologiche e da fenomeni locali dell’area nella quale l’evento si manifesta. La vulnerabilità è definita come la suscettibilità di una struttura a subire danni a causa di un dato terremoto; i danni possono portare ad una momentanea perdita di funzionalità o ad una totale irrecuperabilità del manufatto edilizio.
L’esposizione è, infine, riferita alla natura, alla qualità e alla quantità dei beni interessati direttamente ed indirettamente da un evento sismico.
Fare prevenzione comporta soprattutto una variazione di modalità di pensiero: la consapevolezza dei rischi è il primo ed indispensabile elemento di una azione di prevenzione efficace.
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