Il processo penale minorile


Si discosta da quello ordinario e lo scopo primario è il recupero sociale del minore che ha compiuto il reato
Il processo penale minorile
Il processo penale minorile si discosta molto da quello ordinario che vede imputate le persone maggiorenni e ciò poiché il processo minorile ha come scopo primario il recupero sociale del soggetto che ha compiuto il reato più che la comminazione della condanna e della punizione del colpevole.
Innanzitutto va specificato che nel nostro ordinamento, i minori di 14 che hanno commesso un reato non possono essere processati per la presunzione legale assoluta che li considera incapaci di intendere e di volere. Dunque, il processo minorile riguarda i ragazzi con età compresa tra i 14 anni e i 18 anni.

Il processo penale è disciplinato dal D.P.R. 22 settembre 1998, n. 448 e successive modificazioni sulla stregua del Codice Vassalli, ma con molte differenze rispetto al processo ordinario.
Una prima differenza è che unico giudice competente è il Tribunale per i minorenni così come anche le indagini, l’udienza preliminare e l’appello sono affidati a magistrati che si occupano solo di processi minorili.
Altra differenza riguarda la composizione dell'organo giudicante. Infatti, il Gip è l’unico giudice monocratico mentre il Gup e il giudice dibattimentale sono organi collegiali, indipendentemente dal tipo di reato commesso dal minore. Inoltre, è prevista una sezione speciale presso le Corti di Appello per i processi di secondo grado nonché il magistrato di sorveglianza per i minorenni.
Altri organi che coadiuvano i giudici sono i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e i servizi di assistenza sociale.

Lo scopo primario del recupero sociale del minore attraverso un percorso penale meno traumatizzante possibile è desumibile da alcune norme del codice (art. 6 e art. 12) che assicurano all’imputato, nel corso del processo, assistenza affettiva e psicologica, con la presenza dei genitori o di altra persona idonea indicata dal minorenne e ammessa dall’autorità giudiziaria.
Altre tutele rivolte ai minori sono il divieto di pubblicazione e di divulgazione (art. 13), con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini che possano ricondurre all’identità dell’imputato e quella di svolgimento del processo a porte chiuse (art. 33) a meno che lo stesso imputato, di non meno di 16 anni, chieda che si svolga a porte aperte.

A differenza del processo penale ordinario, sono previste misure cautelari molto più "tenue", proprio in nome di una incompleta maturità psicofisica e di una tutela delle esigenze di studio e di crescita del minore.
La prescrizione meno afflittiva è la permanenza in casa, ovvero un provvedimento in base al quale il minorenne indagato o imputato non può allontanarsi dall’abitazione familiare se non per esigenze di studio o di lavoro o, in aggiunta, non può comunicare con persone diverse rispetto a coloro che abitano con lui o che lo assistono. In caso di violazione della misura, può scattare il collocamento in comunità, dove il giudice prescrive che il minore vada a vivere imponendo precise prescrizioni relative allo studio ed al lavoro oppure altre attività utili per la sua educazione.
Nel caso di violazione della misura del collocamento in comunità, il giudice può disporre la custodia cautelare in carcere, ma per un periodo non superiore a un mese. E’ quest’ultima, una misura eccezionale che può essere applicata solo se il minore è imputato per un delitto grave non colposo la cui pena è l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Rientrano in tali delitti anche la violenza sessuale, al centro purtroppo di molte recenti notizie di cronaca.

Sempre nell’ottica del recupero sociale del minore, sono previste soluzioni differenti dalla sentenza di condanna anche nel caso in cui questi sia effettivamente colpevole. L’arresto del minore, infatti, è sempre facoltativo e la durata massima è di 2 anni.
Tra le misure facoltative c’è la messa alla prova del minore. Il Gip, infatti, può sospendere il processo penale per valutare la personalità del minore attraverso speciali prove da superare dirette a riparare le conseguenze del reato o a promuovere una conciliazione del minore con la vittima.
In caso di superamento della prova, il Gip emette sentenza di estinzione del reato, altrimenti opta per una condanna. Quest’ultima, se prevede una pena detentiva inferiore a due anni, può essere sostituita con la semidetenzione o con la libertà controllata tenuto conto delle esigenze di studio o di lavoro. Non solo, in questo caso potrà essere concesso anche il perdono giudiziale, se il Gip presume che il minore si asterrà dal commettere altri reati.
Se, però, la messa in prova non ha dato esito positivo e la pena dovrebbe essere superiore ai due anni, il Gip fissa l’udienza preliminare.

Sempre in sede di indagini preliminare, se emerge la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento, il pubblico ministero può chiedere al Gip di emettere sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto se, dal proseguo del processo possano derivare pregiudizi alle esigenze educative del minore.

Il mio studio legale è disponibile ad offrire ulteriori informazioni al riguardo e una consulenza legale in caso di necessità.

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di Avv. Maria Pia Di Maio

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