Facebook: è reato l'accesso abusivo del coniuge anche se in possesso della password


La conoscenza della password per accedere al profilo facebook del coniuge non equivale a un'autorizzazione di quest'ultimo ad operare nel suo profilo
Facebook: è reato l'accesso abusivo del coniuge anche se in possesso della password

L’art. 615 ter c.p. punisce colui che, abusivamente ovvero senza autorizzazione del titolare, acceda ad un servizio informatico o telematico “[…] protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo […]”.

Il reato, quindi, può essere integrato anche dalla condotta del marito che, a conoscenza di password e username della moglie, acceda al suo profilo Facebook e apprenda informazioni riservate, quali i messaggi scambiati con altro utente.

Nel decidere sul ricorso proposto dalla difesa dell’imputato, la Suprema Corte di Cassazione ha sostanzialmente affermato che, la pregressa conoscenza dei codici di accesso del coniuge al social network, non determina automaticamente il rilascio di un’autorizzazione sempre valida ad operare all’interno del suo profilo utente.

Nel caso specifico, l’imputato aveva intenzionalmente fatto accesso all’account Facebook della moglie ignara, utilizzando la password di cui era venuto a conoscenza tempo prima e, dopo aver scattato una foto ad una chat scambiata tra la coniuge e un altro uomo, l’aveva prodotta quale prova nel giudizio di separazione.

Egli, inoltre, dopo l’accesso abusivo, aveva modificato la password, così da impedire alla moglie di utilizzare ancora quel profilo.

Con sentenza n. 2905/2019, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato, ha così statuito: “…la circostanza che il ricorrente fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informatico – quand’anche fosse stata quest’ultima a renderle note e a fornire, così, in passato, un’implicita autorizzazione all’accesso – non escluderebbe comunque il carattere abusivo degli accessi sub iudice. Mediante questi ultimi, infatti, si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare dello ius excludendi alios, vale a dire la conoscenza di conversazioni riservate e finanche l’estromissione dall’account facebook della titolare del profilo e l’impossibilità di accedervi…” (sent. n. 2905/2019 dep. Il 22/01/2019-Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione).

 

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di Avv. Manuela Martinangeli

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