Il riconoscimento giudiziale di paternità


Giudizio civile da parte di un maggiorenne volto all'attribuzione del cognome paterno, mai avuto e richiesto dopo la dipartita del genitore
Il riconoscimento giudiziale di paternità
Il riconoscimento giudiziale di paternità. L'art. 269 c.c., nel disciplinare l'istituto della dichiarazione giudiziale di paternità e/o maternità naturale, così statuisce: "La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate, nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo...; la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità". Nel nostro ordinamento, quindi, chi è nato fuori dal matrimonio e non è stato riconosciuto alla nascita da uno dei genitori naturali, può promuovere un'azione davanti al Tribunale per ottenere una sentenza dichiarativa della filiazione, che ex art. 277 c.c., produce gli stessi effetti del riconoscimento.

In materia è da segnalare una importantissima sentenza della Corte Costituzionale, che ha segnato una svolta storica nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità: si tratta della sentenza n. 50 del 10 febbraio 2006, con la quale la Corte ha dichiarato l`incostituzionalità dell'art. 274 c.c., che subordinava l'esercizio dell'azione di riconoscimento giudiziale al previo esperimento di una procedura di ammissibilità. Chi opera nel settore non può non rendersi conto della portata rivoluzionaria di tale pronuncia, che è stata accolta dagli operatori del diritto come una ventata innovativa che ha "svecchiato" un istituto che, nato in un contesto storico ormai superato, non riusciva più ad essere in sintonia con una società moderna e tecnologicamente evoluta.

Si giunge, così, ai giorni nostri, con la legge 293/2012 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 17.12.2012 la quale eguaglia i diritti dei figli naturali a quelli dei figli legittimi. Una rivoluzione culturale prima ancora che giuridica alla quale il Parlamento giunge con ritardo se si considera che il principio della pari dignità è da anni un punto acquisito nel dibattito dei giuristi. La nuova legge proclama solennemente che «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» (nuovo articolo 315 del codice civile) con la conseguenza che le espressioni «figlio legittimo» e «figlio naturale» scompaiono dal lessico giuridico. Viene meno, di conseguenza, l’istituto della legittimazione. La riforma tocca anche la legittimazione passiva nell’accertamento giudiziale della paternità introducendo la possibilità - più volte negata in passato dalla giurisprudenza - di esercitare l’azione nei confronti anche di un curatore speciale ove sia deceduto il presunto genitore e non vi siano eredi (articolo 276 del codice civile).

Una questione di tale impatto emotivo e psicologico va riconosciuta come meritevole di tutela per attribuire i diritti a un figlio che non puo’ e non deve pagare le colpe dei genitori. Il nostro ordinamento riconosce come diritti tali aspetti che, senza dubbio, vanno dimostrati; a tal riguardo si ricorda la sentenza n. 10007 del 16.04.2008 - Corte di Cassazione , sez.I civ. la quale recita: "Nelle azioni per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale le analisi ematologiche e genetiche (esame del Dna) non sono considerate più mezzi eccezionali di prova ma strumenti dotati di piena dignità probatoria idonei ad accertare la paternità in positivo, e non solo a escluderla. La non ammissione della esperibilità del test del Dna, pur rimanendo nella piena discrezionalità del giudice del merito, nondimeno deve essere adeguatamente motivata ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 360 del Cpc, comma 5, pena la censura di illegittimità da parte della Cassazione. Una domanda giudiziale di tale natura, impatta chiaramente, anche aspetti piu’ materialistici , quali quelli economici, eventualmente da far valere in altra sede.

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di Avv. Maria Rosaria Palmieri

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